La città
Beirut, 15 marzo 1983: sangue barlettano in Libano
La storia dimenticata del marò Luigi Fiorella raccontata dal giornalista Nino Vinella
Barletta - martedì 14 marzo 2023
12.21
«"Sangue italiano in Libano: sette i feriti. Un militare di Barletta tra i colpiti, Emozione per gli agguati contro le forze di pace. Colpiti ieri anche cinque marines". Così titolava "La Gazzetta del Mezzogiorno" in prima pagina all'indomani dell'agguato consumatosi nella notte del 15 marzo 1983, quarant'anni fa, ai danni della forza di pace in quella sempre tormentata parte del Medioriente. Una delle vittime, Luigi Fiorella, di anni aveva appena compiuti venti: l'uniforme del Battaglione San Marco, l'entusiasmo di servire la Patria in una missione di pace. In Libano, in quella tragica notte, una raffica, un colpo di granata, una scheggia nella spina dorsale, le gambe paralizzate, la silenziosa sofferenza di una vita che, superato il dolore, ti costringe a vivere il resto dell'esistenza su di una sedia a rotelle». Inizia così il racconto del giornalista Nino Vinella.
«Ed è così che, molto spesso, incontriamo Gino durante le sue uscite: quando s'incontra con gli amici al bar o ti saluta come prova esemplare del suo stato d'animo. C'è tutto, ed anche di più, nella storia dimenticata di Gino Fiorella, marò del Battaglione San Marco, in Libano con la "Folgore" sotto il comando del generale Franco Angioni a capo dell'Italcon. Una brutta storia, una ferita che non si è rimarginata del tutto a distanza di tanti anni».
L'EPISODIO - Beirut, martedì 15 marzo 1983, ore 22.10 di una serata che doveva essere di svago per il contingente italiano che sta presidiando il suo settore nella capitale libanese fra le opposte milizie locali. Sabra e Chatila, ma ce li ricordiamo ancora quei massacri? E' lo scenario in cui può essere consentita anche qualche ora di apparente svago per i nostri soldati: nella capitale libanese è di scena sotto un tendone da circo la compagnia teatrale di Walter Chiari e Ivana Monti.
E di colpo l'agguato mortale. A meno di un chilometro avviene un attentato ad una nostra pattuglia con lancio di bombe: Filippo Montesi, militare di leva nel San Marco, è colpito a morte. Tre suoi compagni rimangono a terra, tutti gravemente feriti. Fra questi il barlettano Gino Fiorella, classe 1963. Da qui comincia la sua odissea nel buio di un tunnel al cui termine forse ci può essere ancora la speranza di una luce estrema.
IL SILENZIO DELLA CITTA' - Gino si racconta con difficoltà, da dietro i suoi occhialoni a specchio: si capisce che non ci riesce a riaprire l'album dei ricordi senza sentirsi male dentro. Si sfoga in una chiacchierata col sottoscritto nei giardini pubblici, in compagnia dell'inseparabile fratello che lo aiuta. Come lo hanno aiutato gli amici della comitiva, come gli sta vicino la famiglia, i parenti: insomma tutti, meno che i cosiddetti rappresentanti delle istituzioni.
Ironicamente: "Alla fine mi sono convinto che era meglio il mio silenzio, dice Gino, un silenzio uguale a quello dei politici o degli amministratori. E poi, che avrei dovuto raccontare? Chi mi conosce bene sa che ho sempre fatto forza su me stesso e basta". Il silenzio di un innocente tradito dall'alzheimer della gente per una storia dimenticata.
Parole amare. Lo contattai perché la Rai voleva invitarlo nel 2006 in una trasmissione diretta tv come testimone di quella operazione "Libano 2" col generale Angioni del 1982. Dopo parecchie schermaglie e consulti in famiglia e con amici, Gino declinò ovviamente l'invito: ma senza acrimonia o per dispetto. Solo perché "non voleva fare assolutamente notizia", queste le sue parole.
Il frutto del suo sacrificio personale, suo come di altri ragazzi in divisa, fu l'aumentato rispetto del nostro Paese in campo umanitario internazionale e che la missione dell'Italia in Libano, come tutte le altre susseguitesi fino ad oggi, si concluse con la donazione di un intero ospedale da campo ai palestinesi…
«Ed è così che, molto spesso, incontriamo Gino durante le sue uscite: quando s'incontra con gli amici al bar o ti saluta come prova esemplare del suo stato d'animo. C'è tutto, ed anche di più, nella storia dimenticata di Gino Fiorella, marò del Battaglione San Marco, in Libano con la "Folgore" sotto il comando del generale Franco Angioni a capo dell'Italcon. Una brutta storia, una ferita che non si è rimarginata del tutto a distanza di tanti anni».
L'EPISODIO - Beirut, martedì 15 marzo 1983, ore 22.10 di una serata che doveva essere di svago per il contingente italiano che sta presidiando il suo settore nella capitale libanese fra le opposte milizie locali. Sabra e Chatila, ma ce li ricordiamo ancora quei massacri? E' lo scenario in cui può essere consentita anche qualche ora di apparente svago per i nostri soldati: nella capitale libanese è di scena sotto un tendone da circo la compagnia teatrale di Walter Chiari e Ivana Monti.
E di colpo l'agguato mortale. A meno di un chilometro avviene un attentato ad una nostra pattuglia con lancio di bombe: Filippo Montesi, militare di leva nel San Marco, è colpito a morte. Tre suoi compagni rimangono a terra, tutti gravemente feriti. Fra questi il barlettano Gino Fiorella, classe 1963. Da qui comincia la sua odissea nel buio di un tunnel al cui termine forse ci può essere ancora la speranza di una luce estrema.
IL SILENZIO DELLA CITTA' - Gino si racconta con difficoltà, da dietro i suoi occhialoni a specchio: si capisce che non ci riesce a riaprire l'album dei ricordi senza sentirsi male dentro. Si sfoga in una chiacchierata col sottoscritto nei giardini pubblici, in compagnia dell'inseparabile fratello che lo aiuta. Come lo hanno aiutato gli amici della comitiva, come gli sta vicino la famiglia, i parenti: insomma tutti, meno che i cosiddetti rappresentanti delle istituzioni.
Ironicamente: "Alla fine mi sono convinto che era meglio il mio silenzio, dice Gino, un silenzio uguale a quello dei politici o degli amministratori. E poi, che avrei dovuto raccontare? Chi mi conosce bene sa che ho sempre fatto forza su me stesso e basta". Il silenzio di un innocente tradito dall'alzheimer della gente per una storia dimenticata.
Parole amare. Lo contattai perché la Rai voleva invitarlo nel 2006 in una trasmissione diretta tv come testimone di quella operazione "Libano 2" col generale Angioni del 1982. Dopo parecchie schermaglie e consulti in famiglia e con amici, Gino declinò ovviamente l'invito: ma senza acrimonia o per dispetto. Solo perché "non voleva fare assolutamente notizia", queste le sue parole.
Il frutto del suo sacrificio personale, suo come di altri ragazzi in divisa, fu l'aumentato rispetto del nostro Paese in campo umanitario internazionale e che la missione dell'Italia in Libano, come tutte le altre susseguitesi fino ad oggi, si concluse con la donazione di un intero ospedale da campo ai palestinesi…