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Il diamante sociale de “Il capitale umano”

Paolo Virzì scala i valori di un’ Italia mordace

Il prestigio lavorativo di Dino vale 700.000 euro, il riscatto di Massimiliano ne vale 980.000, la vita di un cameriere in bici 218mila e rotti. Ogni uomo ha un suo prezzo; se morto, lascia ai successori il suo capitale umano, una stima calcolata sulla base del suo lavoro, della qualità della vita e del suo potere d'acquisto. Tutto ciò che è acquistabile non è acquisibile.

La pellicola è un diamante, preziosa e rivelatrice; le sue sfaccettature sono i capitoli del romanzo-musa di Stephen Amidon "The human capital". Dino (Fabrizio Bentivoglio): agente immobiliare cornuto, ora accompagnato da "La Roberta" (Valeria Golino), incinta di due gemelli. Accecato dall'ambizione, non si accontenta di rendimenti del 2-3%, ma chiede un prestito di 700.000 euro per entrare nel fondo di chi scommette sulla rovina del Paese. Carla (Valeria Bruni Tedeschi): moglie del maggior azionista di quel fondo. Trascurata dal marito, improvvisa una liaison con il potenziale direttore artistico, gode dei benefits della sua reggia. Nostalgica di arte e cultura, finanzia la ristrutturazione dell'unico teatro della provincia di Varese. «Ma il teatro stanca, è morto, la gente si annoia!». Meglio appartamenti, «case e bare non possono mancare». Serena (Matilde Gioli): ex fidanzata di Massimiliano (figlio di Carla e Giovanni), è figlia dell'allocco Dino. Matura e responsabile, si innamora di Luca, per tutti un ex tossico, per lei uno poco infame. L'intreccio è fitto, al bandolo della matassa di arriva nel capitolo finale.

La morte della commedia, il trionfo del frammentarismo. La cinepresa mantiene la distanza dalla scena, il non detto fa sistema e si integra con l'esplicito solo alla svolta finale. La svolta mancata che non ha impedito di uccidere, quella pirata che si dà cruda allo sguardo produttore di senso. Inquietante la vacuità del Dino affarista, il tradimento scriteriato di Carla, il cinismo di suo marito e l'onnipotenza di Serena. Sono fotografie di assenza, di disorientamento personalistico; è il ritratto di una società d'appiglio con le flebili tinte impressionistiche, quelle che disegnano senza contornare. Il tutto governato dall'irrealtà della finanza: inconsistente, eppure così ammaliante. Il relativismo visionario è protagonista dell'eccellente montaggio filmico; il capitale umano sta nell'expertise della regia e nella portata emotiva che ricade sullo spettatore. Ancora un plauso al cinema italiano, che insiste sull'autocritica con rara bellezza.
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