
La città
La città, la natura e la memoria vegetale degli alberi
Racconto di Giuseppe Lagrasta, Presidente del Comitato Dante Alighieri di Barletta
Barletta - mercoledì 30 aprile 2025
Riceviamo e pubblichiamo un racconto del professor Giuseppe Lagrasta, , Presidente del Comitato Dante Alighieri di Barletta
In una città, quando cadono gli alberi si spegne la luce nelle strade e tra le case. Una luce trasparente, un profumo di luce che abitava il cuore di tutti, d'un tratto, si spegne. Quando cadono gli alberi, un buio indefinito, un alone di triste opacità cala sulla città. Quando cade un albero senza ferire e uccidere, lo stesso, si rimane inebetiti, smarriti, sia per lo scampato pericolo, sia perché il cuore approda in un luogo di smarrimento e di malinconia. Così, nello smarrimento improvviso, si cercano le parole, si esplorano le circostanze e si sussurra, meno male, nessuno, in transito. Neanche un'ombra.
E allora ogni albero che cade, che stramazza al suolo, estirpato dalle radici, lì, inerme nella sua possanza, quando osserviamo le sue vive radici, accusiamo una specie di lacerazione interiore, che genera sentimenti di frustrazione e di impotenza, anche se, si potrebbe fare qualcosa, prima, per non farli morire, divelti, lì, al suolo.
Quando cadono gli alberi cadono gli occhi della natura e la natura si fa cieca. E' terribile osservare una natura cieca che si fa cieca a causa dell'indifferenza dell'uomo. Mentre tutto tace, nel silenzio della notte, tra i venti forti e il vuoto e l'assenza di interventi, quando cadono gli alberi, una musica flebile, ch'era già flebile, ormai, la musica della natura che avvolge la città, quando cade un albero, quella musica, lentamente, si spegne, e si spengono anche i colori sulla città.
Quando muore un albero, tutti gli alberi, con i fratelli, con le sorelle foglie e radici, sono a lutto. La natura cittadina, tutta, è a lutto. E la memoria vegetale, è un fiore straziato, un petalo, tagliato.
Quando muore un albero, con lui, muoiono tante speranze di rinascita di nuovi colori, tante sfumature di verde e di gioia colorata che avrebbero fatto nuova allegria; quando si sradica un albero, un silenzio di solitudine pervade le strade della città con la perdita di un'anima naturale che prima era con noi e adesso ha lasciato un vuoto nella città.
Un albero e tanti fiori, e tante braccia e tanti rami e tante foglie; un albero muto, divelto sul marciapiede, che poteva trasformarsi in un colpo definitivo, ora, nell'indifferenza del tempo, con la madre primavera che solerte vorrebbe intervenire, aiutandolo, non può farlo, l'albero, è caduto è lì, guerriero distrutto dall'indifferenza del presente impoetico. E avrà domandato l'albero ai passanti veloci e immediati, perché si trovasse lì, divelto, con le radici all'aria che gli rodevano il cuore, che gli bloccavano il respiro, che era lì, e che sentiva soffocarsi, sentiva il fiato spezzarsi e che tra poco sarebbe morto, e perché nessuno s'era impegnato prima, nel salvarlo. E invece! Né una voce, né un saluto, nulla. Ma d'improvviso, s'è avvicinato un bambino. "Ma a te piacciono gli alberi" – ha chiesto l'albero ferito al bambino -. "Sì, sì certo – ha risposto il bambino - . Ho una cartellina piena di disegni. Io non faccio altro che disegnare gli alberi, il mare e il colore del cielo. Ma gli alberi mi vengono meglio, non so perché." "Finalmente parlo con qualcuno, finalmente un amico – ha risposto l'albero sofferente - . Un bambino che ama gli alberi…" "Sì, sì, albero, amico mio. Amo la natura, sì e con i miei genitori vado sulla Murgia dove a me piace osservare le pietre, il piccolo teatro delle mie pietre. E poi gli alberi murgiani sono tutti miei amici. Quando torno a casa, riprendo a disegnare quelli che non ho dimenticato. La forma, il colore, la chioma. Ma tu stai soffrendo. Cerchi di muoverti, ma vedo che sanguini. Amico albero cosa posso fare per te." "Nulla bambino mio, non puoi fare nulla. Ormai sono spacciato. Vedi le mie radici, non potranno più prendere linfa. Sono lontano dalla mia madre terra. Quindi, tra poco, morirò." "No! No!. Chiamerò mio padre. Verrà mio padre ad aiutarti." "Non potrà più far nulla. Il mio destino è segnato. Però voglio che tu racconti agli altri bambini quello che ti sto per dire – concluse l'albero -." "Dimmi, dimmi, ti ascolto." – rispose il bambino. "Devi dire ai tuoi compagni di amare la natura, di rispettare gli alberi. Di non strappare le foglie ai nostri rami. Di avere cura di noi e di sostenerci.
Ma quello che dico potresti dirlo agli adulti, se ti dovesse capitare. Parlane con tuo padre. E quando vai sulla Murgia pensa un poco a me." "Albero, amico mio, - ha risposto il bambino - a scuola ne parliamo tanto e spesso ci accade di partecipare in città, alla piantumazione degli alberi, ma vediamo che non basta!" "Si bambino mio, occorre parlarne e gridarlo, gridarlo a tutti." "Sì sì, occorre gridarlo e urlarlo in faccia a tutti" – ha aggiunto il bambino - ." E l'albero ha flebilmente sussurrato: " Il nostro vivere quotidiano, silente e spesso sofferente per la mancata cura dei nostri respiri e dei nostri rami e dei nostri occhi e dei nostri tronchi si trasforma in una continua lotta di sopravvivenza. Il fumo, il vento, la mancata cura verso il nostro cuore ci porta alla fine prima del tempo del tempo." "Capisco, capisco – ha detto il bambino – vederti qui per terra, stramazzato al suolo, in piena solitudine mi fa soffrire – ha aggiunto il bambino – . Spero che venga qualcuno, così prima della notte possano portarti da qualche parte e aiutarti a stare meglio." "Lo spero tanto" – disse ancora flebilmente l'albero - . E più non si mosse. Il bambino tornò a casa, pensieroso. E quando incontrò i genitori cominciò pian piano a parlare dell'albero stramazzato al suolo, in città. Aggiungendo che ne avrebbe parlato con i suoi insegnanti. E fare una raccolta di disegni che avrebbero illustrato alberi felici e alberi caduti al suolo. E i genitori furono d'accordo su questa iniziativa, anzi lo avrebbero aiutato a raccontarla e a disegnarla e a realizzarla. E il bambino così, improvvisamente lesse al padre, questo testo, trovato in un sussidiario: "Quando muore un albero, la memoria vegetale si trasforma in un grido, in un frastuono, perché muore un combattente vero contro la mal'aria. I colori dell'arcobaleno mutano e sono meno splendidi del solito, la felicità del verde di quei rami che un tempo rischiaravano la strada ora non c'è più, e mancano gli uccelli che vi si posavano, contenti. E invece al posto di quell'albero, strappato alle radici, ora c'è un vuoto. Il segno di un tronco piallato, un tronco piallato utile per rabberciare tutto, cancellare il segno dell'albero divelto, una vita naturale, dimenticata, memoria e vita non curata e lasciata tra il frastuono delle automobili, che sfrecciano, indiscrete, tra altri alberi. Mentre gli alberi a viva voce chiedono di essere curati e salvati. E non salvarli, e continuare a non farlo, è, e sarà, per sempre, fonte di dolore, ancora.
In una città, quando cadono gli alberi si spegne la luce nelle strade e tra le case. Una luce trasparente, un profumo di luce che abitava il cuore di tutti, d'un tratto, si spegne. Quando cadono gli alberi, un buio indefinito, un alone di triste opacità cala sulla città. Quando cade un albero senza ferire e uccidere, lo stesso, si rimane inebetiti, smarriti, sia per lo scampato pericolo, sia perché il cuore approda in un luogo di smarrimento e di malinconia. Così, nello smarrimento improvviso, si cercano le parole, si esplorano le circostanze e si sussurra, meno male, nessuno, in transito. Neanche un'ombra.
E allora ogni albero che cade, che stramazza al suolo, estirpato dalle radici, lì, inerme nella sua possanza, quando osserviamo le sue vive radici, accusiamo una specie di lacerazione interiore, che genera sentimenti di frustrazione e di impotenza, anche se, si potrebbe fare qualcosa, prima, per non farli morire, divelti, lì, al suolo.
Quando cadono gli alberi cadono gli occhi della natura e la natura si fa cieca. E' terribile osservare una natura cieca che si fa cieca a causa dell'indifferenza dell'uomo. Mentre tutto tace, nel silenzio della notte, tra i venti forti e il vuoto e l'assenza di interventi, quando cadono gli alberi, una musica flebile, ch'era già flebile, ormai, la musica della natura che avvolge la città, quando cade un albero, quella musica, lentamente, si spegne, e si spengono anche i colori sulla città.
Quando muore un albero, tutti gli alberi, con i fratelli, con le sorelle foglie e radici, sono a lutto. La natura cittadina, tutta, è a lutto. E la memoria vegetale, è un fiore straziato, un petalo, tagliato.
Quando muore un albero, con lui, muoiono tante speranze di rinascita di nuovi colori, tante sfumature di verde e di gioia colorata che avrebbero fatto nuova allegria; quando si sradica un albero, un silenzio di solitudine pervade le strade della città con la perdita di un'anima naturale che prima era con noi e adesso ha lasciato un vuoto nella città.
Un albero e tanti fiori, e tante braccia e tanti rami e tante foglie; un albero muto, divelto sul marciapiede, che poteva trasformarsi in un colpo definitivo, ora, nell'indifferenza del tempo, con la madre primavera che solerte vorrebbe intervenire, aiutandolo, non può farlo, l'albero, è caduto è lì, guerriero distrutto dall'indifferenza del presente impoetico. E avrà domandato l'albero ai passanti veloci e immediati, perché si trovasse lì, divelto, con le radici all'aria che gli rodevano il cuore, che gli bloccavano il respiro, che era lì, e che sentiva soffocarsi, sentiva il fiato spezzarsi e che tra poco sarebbe morto, e perché nessuno s'era impegnato prima, nel salvarlo. E invece! Né una voce, né un saluto, nulla. Ma d'improvviso, s'è avvicinato un bambino. "Ma a te piacciono gli alberi" – ha chiesto l'albero ferito al bambino -. "Sì, sì certo – ha risposto il bambino - . Ho una cartellina piena di disegni. Io non faccio altro che disegnare gli alberi, il mare e il colore del cielo. Ma gli alberi mi vengono meglio, non so perché." "Finalmente parlo con qualcuno, finalmente un amico – ha risposto l'albero sofferente - . Un bambino che ama gli alberi…" "Sì, sì, albero, amico mio. Amo la natura, sì e con i miei genitori vado sulla Murgia dove a me piace osservare le pietre, il piccolo teatro delle mie pietre. E poi gli alberi murgiani sono tutti miei amici. Quando torno a casa, riprendo a disegnare quelli che non ho dimenticato. La forma, il colore, la chioma. Ma tu stai soffrendo. Cerchi di muoverti, ma vedo che sanguini. Amico albero cosa posso fare per te." "Nulla bambino mio, non puoi fare nulla. Ormai sono spacciato. Vedi le mie radici, non potranno più prendere linfa. Sono lontano dalla mia madre terra. Quindi, tra poco, morirò." "No! No!. Chiamerò mio padre. Verrà mio padre ad aiutarti." "Non potrà più far nulla. Il mio destino è segnato. Però voglio che tu racconti agli altri bambini quello che ti sto per dire – concluse l'albero -." "Dimmi, dimmi, ti ascolto." – rispose il bambino. "Devi dire ai tuoi compagni di amare la natura, di rispettare gli alberi. Di non strappare le foglie ai nostri rami. Di avere cura di noi e di sostenerci.
Ma quello che dico potresti dirlo agli adulti, se ti dovesse capitare. Parlane con tuo padre. E quando vai sulla Murgia pensa un poco a me." "Albero, amico mio, - ha risposto il bambino - a scuola ne parliamo tanto e spesso ci accade di partecipare in città, alla piantumazione degli alberi, ma vediamo che non basta!" "Si bambino mio, occorre parlarne e gridarlo, gridarlo a tutti." "Sì sì, occorre gridarlo e urlarlo in faccia a tutti" – ha aggiunto il bambino - ." E l'albero ha flebilmente sussurrato: " Il nostro vivere quotidiano, silente e spesso sofferente per la mancata cura dei nostri respiri e dei nostri rami e dei nostri occhi e dei nostri tronchi si trasforma in una continua lotta di sopravvivenza. Il fumo, il vento, la mancata cura verso il nostro cuore ci porta alla fine prima del tempo del tempo." "Capisco, capisco – ha detto il bambino – vederti qui per terra, stramazzato al suolo, in piena solitudine mi fa soffrire – ha aggiunto il bambino – . Spero che venga qualcuno, così prima della notte possano portarti da qualche parte e aiutarti a stare meglio." "Lo spero tanto" – disse ancora flebilmente l'albero - . E più non si mosse. Il bambino tornò a casa, pensieroso. E quando incontrò i genitori cominciò pian piano a parlare dell'albero stramazzato al suolo, in città. Aggiungendo che ne avrebbe parlato con i suoi insegnanti. E fare una raccolta di disegni che avrebbero illustrato alberi felici e alberi caduti al suolo. E i genitori furono d'accordo su questa iniziativa, anzi lo avrebbero aiutato a raccontarla e a disegnarla e a realizzarla. E il bambino così, improvvisamente lesse al padre, questo testo, trovato in un sussidiario: "Quando muore un albero, la memoria vegetale si trasforma in un grido, in un frastuono, perché muore un combattente vero contro la mal'aria. I colori dell'arcobaleno mutano e sono meno splendidi del solito, la felicità del verde di quei rami che un tempo rischiaravano la strada ora non c'è più, e mancano gli uccelli che vi si posavano, contenti. E invece al posto di quell'albero, strappato alle radici, ora c'è un vuoto. Il segno di un tronco piallato, un tronco piallato utile per rabberciare tutto, cancellare il segno dell'albero divelto, una vita naturale, dimenticata, memoria e vita non curata e lasciata tra il frastuono delle automobili, che sfrecciano, indiscrete, tra altri alberi. Mentre gli alberi a viva voce chiedono di essere curati e salvati. E non salvarli, e continuare a non farlo, è, e sarà, per sempre, fonte di dolore, ancora.