Dario Montenegro
Dario Montenegro
La città

Dario, da dieci anni a Milano per lavorare nel quadrilatero della moda

«Mi chiamano campanilista perché sono ancora innamorato di Barletta»

Dall'alberghiero alla moda, vi raccontiamo per la nostra rubrica "Barlettani nel mondo" il percorso di vita di Dario, barlettano doc che ha mantenuto intatto il suo patrimonio personale di "barlettanità", si snoda seguendo linee passionali e istinti dettati da buon fiuto e voglia di lavorare. Partito subito dopo il diploma per una anno di volontariato(VFA) come cuoco di bordo su una nave in Albania, Dario dopo aver preso parte ad operazioni di aiuto per i più bisognosi decide di iscriversi all'università e dopo un anno di studio presso la facoltà di Scienze e Tecnologie alimentari di Foggia, il suo viaggio di vita lo porta nella città della moda italiana, in cui vive attualmente da circa dieci anni.

Quale percorso ti ha portato a vivere a Milano?
«Inizialmente mi trasferii a Milano per seguire un percorso di studi che mi interessava e che in quei tempi non era ancora presente in Puglia, non appena arrivato a Milano fui avvicinato casualmente da un'agenzia di Hair Model, che mi propose un lavoro da steward in una fiera. Successivamente lavorai per quest'agenzia di hair model facendo da modello. Partecipavo a fiere o manifestazioni create appositamente per queste circostanze, fu proprio in queste occasioni che iniziai a fare il coordinatore di manifestazione, che è quella particolare figura che interagisce tra modelli e clienti, assicurandosi che vada tutto per il verso giusto».

Che tipo di lavoro svolgi nella città della moda italiana adesso?
«Subito dopo essere diventato coordinatore di eventi ho iniziato a fare il booker, ovvero il reclutatore di modelle, un referente/organizzatore che deve ricercare le modelle e coordinare i referenti di manifestazione. C'è una pubblicità in cui qualcuno diceva "Non hai scelto di diventare libero professionista, è la vita che ha scelto per te"; subito dopo aver compreso che la società per cui lavoravamo non versava in buone acque, noi pochi rimasti abbiamo costituito un'altra società, durata poi un anno e mezzo che si occupava esattamente delle stesse cose. Successivamente c'è stato il grande salto, io ed un'altra mia ex collega, adesso mia socia, abbiamo aperto la nostra agenzia e sin da subito ci ha avvicinato il responsabile d'area di un gruppo stilistico, il quale ci ha proposto di andare in coworking in un'altra realtà lavorativa costituita da tre società distinte, impiantata nella zona di Porta Genova, il quadrilatero della moda milanese. Una volta entrati in questa realtà ci si è aperto un nuovo mondo, abbiamo così iniziato a fornire modelli per gli show room, creare cataloghi di moda per parrucchieri e abbiamo anche una nostra area di vendita di spazi pubblicitari».

Credi che possa essere la professione della tua vita?
«Spero che possa diventarlo, da circa dieci anni sono in questo settore, ci ho speso tutte le mie energie, dall'inizio per gioco fino ad ora che invece credo fortemente nella mia attività».

Quanti barlettani incontri tutti i giorni?
«Milano in realtà è costituita quasi interamente da meridionali trapiantati lì, tanto che Sesto San Giovanni, il comune in cui vivo, è stato ribattezzato "Sesto Pugliese". Un bar a dieci metri da casa mia è frequentato abitualmente da barlettani che giocano al mediatore tutti i giorni. Vi racconto un aneddoto: sin da quando sono arrivato in questa zona ho impiegato un bel po' di tempo prima di trovare un bar che facesse un buon caffè, nel momento in cui l'ho trovato sono stato avvicinato da un uomo che gestendo egli stesso un bar mi ha invitato/costretto a bere il caffè da lui, ecco quello è il bar in cui bevo il caffè ogni mattina perché è il migliore che abbia mai trovato da quando sono lì, il proprietario del bistrot è proprio un barlettano».

Senti di essere soddisfatto delle tue giornate milanesi?
«Nella piena attività lavorativa la mia giornata inizia alle 6 del mattino, visto che da quell'ora sono reperibile per i miei ragazzi, la serata può terminare alle 22 così come alle 18 o alle 19. Di sicuro il fatto di vivere fuori solo, porta quei momenti di solitudine non del tutto semplici, le giornate sono soddisfacenti ma posso garantire che tornando a casa alla sera, distrutto non riesco nemmeno ad avere il tempo per riflettere. Ho tentato anche a Milano di ricreare una mia piccola oasi a misura barlettana, ho i miei amici tra cui molti meridionali, i posti che frequento abitualmente e grazie ai quali riesco comunque a svagarmi».

Difficoltà, sogni e ambizione: in che modo si conciliano queste tre categorie nel tuo quotidiano?
«Di sicuro le difficoltà che affronto, quelle che caratterizzano tutti i liberi professionisti come la concorrenza, la consistenza delle tasse, il fatto che io sia molto giovane e che quindi commetta ancora tanti errori trovano una loro giustificazione grazie alla grande ambizione che nutro di realizzare i miei sogni».

Ti è mai capitato qualcosa che ti abbia fatto rimpiangere la tua città natale?
«Tantissime cose che mi succedono mi fanno rimpiangere la mia Barletta. La solitudine è qualcosa di pesante da affrontare, il fatto di non avere la famiglia vicino, gli amici di sempre. La vita a dimensione d'uomo che si vive a Barletta non è quella di Milano, a Barletta basta un giro con un paio di amici una chiacchierata ad ogni angolo per svagarsi e la serata è fatta, a Milano è tutto molto più dispersivo».

Penseresti mai di ritornare a vivere nella città della Disfida?
«Per quanto riguarda l'ambito professionale potrei tornare a vivere e quindi lavorare a Barletta perché il mio è un lavoro molto flessibile, anche se va considerato che il bacino d'utenza sarebbe molto più ristretto. Non mi dispiacerebbe un domani tornare a vivere nella città in cui sono nato, potendomi creare la possibilità di svolgere la mia professione e quindi al tempo stesso di vivere in una città così bella e accogliente. Molti dicono che sono campanilista, perché parlo sempre di Barletta e delle sue qualità, forse perchè sono ancora innamorato della città in cui sono nato. In realtà ogni volta che vado via da Barletta ho una sensazione di vuoto e nostalgia e immagino di risentire l'incipit della canzone di Gino Pastore "Barlett c si bell quenn chiov", come se stessi lasciando dietro di me un pezzo di cuore ».
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