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Barletta: la tragica e luttuosa giornata del 12 settembre ‘43

Il ricordo, la storia, la memoria. Poche luci su una storia rimasta buia per oltre 70 anni

A somiglianza di una battuta iniziale di sceneggiatura cinematografica: "Le prime luci dell'alba di quel giorno del '43, cominciavano a illuminare l'inizio di una domenica particolare di una cittadina, immersa ancora nel sonno e resa apatica da una guerra, già con milioni di morti, ma da cui non era stata mai sfiorata dappresso. Gli abitanti, in buona parte, braccianti e quasi tutti analfabeti, non per loro colpa ma a causa dell'endemica miseria, a cui si contrapponeva il potere di pochi latifondisti e di coloro che erano benestanti a motivo di possedere congrui appezzamenti agricoli nonché di una sparuta borghesia, la cui preminente preoccupazione consisteva nell'avviare la propria prole alle libere professioni, prediligendo quella medica, a cui seguivano la professione di avvocato, di militare e si toccava il cielo col dito, non è un offensivo eufemismo, allorquando qualcuno abbracciava la carriera ecclesiastica.

I tedeschi, quella mattina, sono avvistati nei pressi del passaggio livello di Via Andria, e altri, contestualmente, attaccano il caposaldo militare italiano, situato nei pressi del ponte sull'Ofanto, e, dopo un acerrimo combattimento, superano il medesimo e avanzano verso Barletta. Nel medesimo lasso di tempo, appaiono nel cielo della città tre aerei tedeschi, che sganciano bombe e spezzoni incendiari, non esimendosi dal mitragliare il porto e le casermette di via Andria. A questo punto s'innesta una fatto che scatena l'ira funesta dei tedeschi: l'uccisione di un loro commilitone, già ferito, che veniva accompagnato all'ospedale civile di Barletta, ma che, per uno strano gioco del destino, lui e i suoi compagni finiscono in piazza Roma; il ferito,però, stando ai si dice, viene assassinato in un esercizio commerciale della medesima piazza, e non si è mai capito da chi e le testimonianze non sono apparse credibili, perché non confermate da fonti ufficiali.

La reazione tedesca non si fa attendere ed è, come al solito abbastanza esagerata e sommaria, tanto è vero che si recano al comando dei vigili urbani, e ne prelevano 10, a cui aggiungono 2 netturbini, che si trovano lì per caso.
Seguendo una logica barbara e irrazionale, li mitragliano a ridosso della vecchia posta e solo uno si salva quasi per miracolo, Antonio Falconetti. Perché questa scelta? Un rebus che non troverà mai una spiegazione per il fatto che queste vicende, anche numerose, sono state tenute nascoste nell'armadio della vergogna fino a qualche ventennio fa; per di più, le superstiti e sofferenti popolazioni si sono avvitate su sé stesse, realizzando un comportamento omertoso che ha impedito di scoprire i mandanti e i collaboratori di tali stragi, in un'Italia sì che era insorta contro l'invasore ma che aveva sopportato sino all'epilogo della tragedia nazionale ogni sorta di angheria e che il ritorno alla democrazia era avvenuto lentamente perchè le ombre del passato regime non erano del tutto svanite. Sono rimasti, come coinvolti in una sorta di danza tribale, i seguenti inquietanti interrogativi: la strage dei 12 concittadini fu determinata da una presunta partecipazione di qualche vigile all'assassinio del militare tedesco ferito?

Oppure per il presunto ferimento, ad opera di ignoti, di striscio della mano del comandante tedesco, che compare, in una foto, con delle bende, avvolgenti il dorso della medesima? Perché, per la rappresaglia, posta in essere, non hanno rastrellato i civili, come era loro inumano rito, risparmiando i militari, che non si erano dati alla macchia o che non andavano ad ingrossare le file della Resistenza? Invece a Barletta scelsero 10 guardie municipali e due netturbini, la cui tipologia di lavoro non necessitava dell'uso di strumenti offensivi -, ma appartenenti a famiglie, il cui censo e lignaggio era molto basso e chissà se furono oggetto di scambio, suggerito e voluto dai potentati politici dell'epoca.

In proposito va chiarito che la medaglia al valor militare, assegnata alla città di Barletta, la si è meritata, soprattutto, per il coraggio di alcuni soldati, alloggiati nelle casermette, i cui natali avevano avuto luogo in territori del nord, non ancora aggrediti dal morbo della secessione. La dicono lunga due dichiarazioni: la prima, quella ascrivibile al Mons. Damato, che, secondo lui, i tedeschi non aggredirono ma furono aggrediti dalle truppe italiane, però legittimate, dopo l'8 settembre, a respingere i tedeschi perché divenuti invasori; la seconda, rilasciata dal chirurgo primario dell'ospedale civile di Barletta dell'epoca, che aveva raccolto dalla voce di un interprete tedesco che "loro erano molto addolorati per quanto era avvenuto", siamo al pianto del coccodrillo dopo che ha divorato la preda. Una storia buia e rimasta tale per circa settantanni, appena illuminata, negli ultimi tempi, da ricerche effettuate in Germania, che sono a malapena riuscite a dare un volto all'ufficiale tedesco (quello della mano fasciata, vissuto a lungo), non pervenendo purtroppo alla verità "in toto", posta sotto il tappeto e coperta dalla polvere per mano di servitori infedeli dello stato democratico.
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