Giovani
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Cara Barletta ti scrivo

Riflessione dopo l'omicidio di Claudio Lasala, «vivere la città come comunità»

Lettera sul mondo giovanile e sulla necessità di nuove progettualità

«Vivere la città come comunità. L'omicidio di Claudio Lasala è solo l'ultimo e il più grave, tragico, degli episodi che raccontano una gioventù locale smarrita, rabbiosa, violenta. La risposta non può essere repressiva, così come non deve condurci fuori strada l'ipotesi (certo gravissima) di recrudescenza della criminalità organizzata e mafiosa. Se vogliamo davvero comprendere la situazione e operare per il cambiamento, dobbiamo puntare i riflettori sui caratteri della gioventù barlettana, e della città in generale. Perché è bene essere chiari: gli adolescenti, i giovanissimi mimano, replicano, imitano atteggiamenti e posture che provengono dal mondo adulto. Lo fanno aggiungendo a questi tratti un sovrappiù di energia, di sfida al limite, di mancanza di freni: tutti elementi tipici della loro età. Ma la fonte di quegli atteggiamenti si trova nel mondo adulto. Non capire questo nesso significa cercare di curare il sintomo senza individuare la malattia.

Si tratta allora di capire cosa vogliamo innestare nel mondo giovanile, quali messaggi e valori e pratiche vogliamo aggiungere alla tavolozza di colori a disposizione degli adolescenti e dei giovani barlettani. Possiamo farlo se cominciamo a ragionare in termini di progetto e su un periodo di almeno 3, o meglio: 5 anni. Il lavoro che proponiamo è un lavoro che abbia al centro l'idea di una città come comunità, e come comunità educante. Una azione che parta dai luoghi di ritrovo abituali dei giovani, quartiere per quartiere, strada per strada. Un lavoro essenziale di prossimità: i giovani e i giovanissimi devono essere intercettati, "agganciati" dove già si riuniscono. E poi guidati nella costruzione cooperativa di forme diverse e più sane di intrattenimento. Se questo lavoro funziona, se è messo in campo con serietà e continuità, tra qualche anno saranno gli stessi giovani che oggi entrano in contatto con gli educatori a divenire a loro volta propagatori di stili di vita sani. Un contagio positivo, la diffusione virale di energie nuove, la trasmissione di valori, veicolati da pratiche comunitarie.

Noi siamo convinti che l'outdoor preceda e sia più rilevante dell'indoor. L'attività che immaginiamo (basta osservare tante buone pratiche in giro per l'Italia) avviene primariamente per strada. Le iniziative già in campo a Barletta sono deficitarie perché sono scatole chiuse. Ci si aspetta che siano i giovani a recarsi in luoghi destinati al tempo libero, alle attività ricreative, all'orientamento allo studio e al lavoro. Occorre capovolgere questa impostazione. Aprire queste scatole, liberare quelle energie e proposte, invertire il flusso e andare incontro ai giovani laddove essi vivono già e trascorrono le proprie serate. Un lavoro per strada, dunque, ma che sia accompagnato in parallelo da un intervento nelle scuole: idealmente il progetto dovrebbe essere guidato da un rapporto 70/30, il 70% delle ore totali outdoor, e il 30% delle ore in incontri con gli alunni delle scuole medie inferiori e superiori. C'è bisogno di progettazione (tempi, costi, scadenze, risorse, personale, formazione specifica), e c'è bisogno di collaborazione con e tra le istituzioni a ogni livello.

Dai diversi osservatori sui giovani da cui operiamo, lanciamo questo appello rivolto a chiunque abbia davvero a cuore, al di là delle facili retoriche, il progetto di una città come comunità educante, per i giovani e con i giovani».

Alessandro Porcelluzzi, Docente di Filosofia e Storia
Luca Fortunato, Educatore e dirigente di comunità
Don Michele Porcelluzzi, Sacerdote
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