
La città
Giuseppe De Nittis, Sulle rive dell’Ofanto, 1867. La nota di Giuseppe Lagrasta
L'intervento del saggista e scrittore
Barletta - domenica 3 agosto 2025
Dopo aver indagato alcune opere dedicate al Fiume Ofanto, con questa nota critica il prof. Giuseppe Lagrasta, arricchisce l'indagine sulla pittura narrativa e sull'ecologia figurativa di Giuseppe De Nittis, al fine di offrire a livello culturale, la continua promozione nazionale e internazionale del pittore barlettano.
Nell'opera di Giuseppe De Nittis, "Sulle rive del Fiume Ofanto" (1867, Galleria d'Arte Moderna, Firenze), la narrazione pittorica si fa più struggente e suggestiva, esprimendo, così, immagini misteriose e sacrali. Tutto ciò è rappresentato dalla considerevole leggerezza che colpisce lo spettatore, osservando: la natura, gli animali al pascolo, la presenza indiretta dell'uomo, il fiume, l'acqua, i colori del paesaggio e le reti di emozioni cogenti che seducendo, s'avvolgono alla natura e all'umanità. E' da considerare, la forza realistica ma allo stesso tempo, fiabesca, espressa dalla tavolozza denittisiana, che a sua volta, si trasforma in un luogo, in cui lo spazio e il tempo, attraversano la grammatica dei colori definendo un racconto visivo a due livelli: il primo, di caratura tematica rappresenta la natura intrecciata alla presenza dell'umano, descritto con un clima quasi fiabesco, mentre il secondo, con forza icastica e simbolica, descrive una densità misterica e sacrale, fondamento primario dell'alba del mondo.
La pittura realistica denittisiana, infatti, si trasforma in forza espressionistica a carattere fiabesco perché la figurazione ancestrale disseminata nell'opera consente all'osservatore di esperire la sua esperienza mediante una visionarietà esemplare, vissuta al di fuori del tempo e dello spazio. La pittura fiabesca, si racconta sulla tela in un clima enigmatico: né un alito di vento impensierisce il pascolo degli animali, che trovano occasione per abbeverarsi e affrancarsi dalla monotonia quotidiana, né suggestioni di venti contrari creano dissonanze figurative. La continuità pittorica denittisiana, tra enigma e mistero, innervata tra tempo-spazio-stagioni, consente all'artista di dare un equilibrio alle storie infinite dei colori e alle simmetrie della scena figurativa, stimolando nello spettatore il ritorno alla sua infanzia perduta e all'infanzia trascorsa nella bellezza della natura.
E la quiete che avvolge gli animali al pascolo, è di una pacatezza misteriosa, favolistica: pare che da un momento all'altro, una pioggia infinita, o un sole incandescente, o un affiorare di bellezze paradisiache, possano destabilizzare il vivere quotidiano e il tempo sospeso della vita trascorsa sulla riva del fiume. E nell'incanto di una silenziosa festa pastorale, ecco la meraviglia di Giuseppe de Nittis per l'acqua. La costanza che pone il pittore nel raffigurare l'anima intima e misteriosa del fiume Ofanto, è profonda e ribelle, e ciò si evince dalla qualità pittorica che l'artista esprime dipingendo l'ambiente, in pura profondità. La presenza dell'acqua e della terra antica nelle opere giovanili dell'artista, hanno valorizzato, con il gioco dell'acqua, le sue figurazioni giovanili.
Giuseppe De Nittis, con l'opera "Sulle rive del Fiume Ofanto", pone lo spettatore di fronte ad emozioni forti, e con la sua testimonianza, invita a riflettere sulle metafore esistenziali che estrae dal suo cappello magico di colori, raffigurando il mistero dell'acqua, della campagna, della natura, in purezza. Il fiume Ofanto, d'ora in poi, potrà essere interpretato come metafora di: energia, infanzia, adolescenza, esistenza, memoria e natura. Ecco che il fiume denittisiano, così com'è raccontato, fa memoria naturale e memoria sociale. E sul greto del fiume vige una calma apparente, silente ma sontuosa; i suoni flebili, tra luce e ombre, sono per un attimo, sospesi, stimolando un intenso movimento degli animali al pascolo, che a tratti, sentono il bisogno di muoversi, di conciliare la loro anima con gli odori di stagione, con i profumi che vivono sospesi nell'aria verde del giorno che si fondono con il colore verde dell'acqua esprimendo il tenue desiderio di giocare con l'acqua e in acqua.
E nel tempo sospeso, l'orologio naturale del sole accompagnerà le ore del giorno mentre forse, a breve, gli animali al pascolo, presi da noia e svogliatezza, torneranno ai luoghi quotidiani, pronti a sostenere il giogo per l'attacco alla terra e alle sue zolle. E dall'infinito orizzonte, dal fondo della campagna, un albero solitario, si fa guardiano dell'intorno. Forse non sa neanche di essere il custode dell'anima del Fiume Ofanto, che spesso, preso da gorghi d'acqua, dimentica di essere fiume e si fa nuvola d'acqua, impetuosa e pericolosa. Ma non è il caso dell'oggi: una calma apparente, sostiene la leggerezza del tempo sospeso; tempo vissuto tra natura e attesa, tra scorrere del giorno ed evocazione delle stagioni.
La luce d'acqua che il Fiume Ofanto promana, è un miracolo d'amore e di bellezza creaturale; la luce d'acqua che emerge da quest'opera, incarna il linguaggio della poesia, di quei poeti che fanno vera poesia. Tra luce d'acqua e la serena vita degli animali al pascolo emerge una lama d'ombre che squarcia l'orizzonte e che impedisce di osservare ciò che si trova al di là dei confini. La lama d'ombre impedisce la visione di ciò che appare e dispare in questo orizzonte pugliese, e invita ad andare oltre, ad immaginare cosa c'è oltre lo squarcio d'ombre che impedisce di vedere ciò che si trova di là dei colori degli orizzonti. E allora cosa si nasconde oltre la lama d'ombre somigliante alla "siepe" che insiste nel canto leopardiano, "L'Infinito"? Ipotizzando che la lama d'ombre denittisiana impedisca di vedere oltre l'orizzonte, possiamo comparare tale lama all'immagine della siepe che Giacomo Leopardi evidenzia nel Canto "L'Infinito", che così recita: "E questa siepe, che da tanta parte/dell'ultimo orizzonte il guardo esclude/. Ma sedendo e mirando, interminati/Spazi di là da quella, e sovrumani/Silenzi, e profondissima quiete/Io nel pensier mi fingo; ove per poco/Il cor non si spaura/".
E mentre Giacomo Leopardi ci allerta di fronte alla presenza di interminati spazi, notiamo che anche l'interminato spazio del De Nittis, spaura e chiede allo spettatore di fermarsi, sedersi sulla riva del fiume, sostare e con serenità, tentare di scoprire, cosa si nasconde dietro la lama d'ombre. Scrive Giacomo Leopardi: "E come il vento/. Odo stormir tra queste piante, io quello/Infinito silenzio a questa voce/Vo comparando: e mi sovvien l'eterno/, E le morte stagioni, e la presente/E viva, e il suon di lei. Così tra questa/Immensità s'annega il pensier mio:/E il naufragar m'è dolce in questo mare./" La lama d'ombre posta all'orizzonte da Giuseppe De Nittis, rappresenta, metaforicamente, l'ostacolo che impedisce di vedere "oltre l'orizzonte", trasformando l'osservatore in un inquieto naufrago. Così, l'orizzonte infinito stabilito dal De Nittis, trova vita dinamica nella metafora della siepe leopardiana; e nell'infinito silenzio che si ascolta sulle rive del Fiume Ofanto, non bastano gli occhi per scoprire la bellezza interiore della natura, ma ci vorrebbe anche lo sguardo del cuore, quello dei sentimenti interiori, come succede al protagonista del canto leopardiano, travolto da una visione profonda allestita dalla drammaturgia umana. In quest'opera, l'anima visionaria del pittore barlettano, descrive e combatte il senso d'entropia e di disordine che pesa sull'uomo, attraverso la rappresentazione di figure icastiche, capaci di contenere la deriva con il rigore applicato dall'essere umano per la sua salvaguardia. E tra derive di cose invisibili e amori perduti e inconsolabili, il tempo maturerà l'incontrovertibile destino dell'umana sorte.
Riproduzione riservata
Nell'opera di Giuseppe De Nittis, "Sulle rive del Fiume Ofanto" (1867, Galleria d'Arte Moderna, Firenze), la narrazione pittorica si fa più struggente e suggestiva, esprimendo, così, immagini misteriose e sacrali. Tutto ciò è rappresentato dalla considerevole leggerezza che colpisce lo spettatore, osservando: la natura, gli animali al pascolo, la presenza indiretta dell'uomo, il fiume, l'acqua, i colori del paesaggio e le reti di emozioni cogenti che seducendo, s'avvolgono alla natura e all'umanità. E' da considerare, la forza realistica ma allo stesso tempo, fiabesca, espressa dalla tavolozza denittisiana, che a sua volta, si trasforma in un luogo, in cui lo spazio e il tempo, attraversano la grammatica dei colori definendo un racconto visivo a due livelli: il primo, di caratura tematica rappresenta la natura intrecciata alla presenza dell'umano, descritto con un clima quasi fiabesco, mentre il secondo, con forza icastica e simbolica, descrive una densità misterica e sacrale, fondamento primario dell'alba del mondo.
La pittura realistica denittisiana, infatti, si trasforma in forza espressionistica a carattere fiabesco perché la figurazione ancestrale disseminata nell'opera consente all'osservatore di esperire la sua esperienza mediante una visionarietà esemplare, vissuta al di fuori del tempo e dello spazio. La pittura fiabesca, si racconta sulla tela in un clima enigmatico: né un alito di vento impensierisce il pascolo degli animali, che trovano occasione per abbeverarsi e affrancarsi dalla monotonia quotidiana, né suggestioni di venti contrari creano dissonanze figurative. La continuità pittorica denittisiana, tra enigma e mistero, innervata tra tempo-spazio-stagioni, consente all'artista di dare un equilibrio alle storie infinite dei colori e alle simmetrie della scena figurativa, stimolando nello spettatore il ritorno alla sua infanzia perduta e all'infanzia trascorsa nella bellezza della natura.
E la quiete che avvolge gli animali al pascolo, è di una pacatezza misteriosa, favolistica: pare che da un momento all'altro, una pioggia infinita, o un sole incandescente, o un affiorare di bellezze paradisiache, possano destabilizzare il vivere quotidiano e il tempo sospeso della vita trascorsa sulla riva del fiume. E nell'incanto di una silenziosa festa pastorale, ecco la meraviglia di Giuseppe de Nittis per l'acqua. La costanza che pone il pittore nel raffigurare l'anima intima e misteriosa del fiume Ofanto, è profonda e ribelle, e ciò si evince dalla qualità pittorica che l'artista esprime dipingendo l'ambiente, in pura profondità. La presenza dell'acqua e della terra antica nelle opere giovanili dell'artista, hanno valorizzato, con il gioco dell'acqua, le sue figurazioni giovanili.
Giuseppe De Nittis, con l'opera "Sulle rive del Fiume Ofanto", pone lo spettatore di fronte ad emozioni forti, e con la sua testimonianza, invita a riflettere sulle metafore esistenziali che estrae dal suo cappello magico di colori, raffigurando il mistero dell'acqua, della campagna, della natura, in purezza. Il fiume Ofanto, d'ora in poi, potrà essere interpretato come metafora di: energia, infanzia, adolescenza, esistenza, memoria e natura. Ecco che il fiume denittisiano, così com'è raccontato, fa memoria naturale e memoria sociale. E sul greto del fiume vige una calma apparente, silente ma sontuosa; i suoni flebili, tra luce e ombre, sono per un attimo, sospesi, stimolando un intenso movimento degli animali al pascolo, che a tratti, sentono il bisogno di muoversi, di conciliare la loro anima con gli odori di stagione, con i profumi che vivono sospesi nell'aria verde del giorno che si fondono con il colore verde dell'acqua esprimendo il tenue desiderio di giocare con l'acqua e in acqua.
E nel tempo sospeso, l'orologio naturale del sole accompagnerà le ore del giorno mentre forse, a breve, gli animali al pascolo, presi da noia e svogliatezza, torneranno ai luoghi quotidiani, pronti a sostenere il giogo per l'attacco alla terra e alle sue zolle. E dall'infinito orizzonte, dal fondo della campagna, un albero solitario, si fa guardiano dell'intorno. Forse non sa neanche di essere il custode dell'anima del Fiume Ofanto, che spesso, preso da gorghi d'acqua, dimentica di essere fiume e si fa nuvola d'acqua, impetuosa e pericolosa. Ma non è il caso dell'oggi: una calma apparente, sostiene la leggerezza del tempo sospeso; tempo vissuto tra natura e attesa, tra scorrere del giorno ed evocazione delle stagioni.
La luce d'acqua che il Fiume Ofanto promana, è un miracolo d'amore e di bellezza creaturale; la luce d'acqua che emerge da quest'opera, incarna il linguaggio della poesia, di quei poeti che fanno vera poesia. Tra luce d'acqua e la serena vita degli animali al pascolo emerge una lama d'ombre che squarcia l'orizzonte e che impedisce di osservare ciò che si trova al di là dei confini. La lama d'ombre impedisce la visione di ciò che appare e dispare in questo orizzonte pugliese, e invita ad andare oltre, ad immaginare cosa c'è oltre lo squarcio d'ombre che impedisce di vedere ciò che si trova di là dei colori degli orizzonti. E allora cosa si nasconde oltre la lama d'ombre somigliante alla "siepe" che insiste nel canto leopardiano, "L'Infinito"? Ipotizzando che la lama d'ombre denittisiana impedisca di vedere oltre l'orizzonte, possiamo comparare tale lama all'immagine della siepe che Giacomo Leopardi evidenzia nel Canto "L'Infinito", che così recita: "E questa siepe, che da tanta parte/dell'ultimo orizzonte il guardo esclude/. Ma sedendo e mirando, interminati/Spazi di là da quella, e sovrumani/Silenzi, e profondissima quiete/Io nel pensier mi fingo; ove per poco/Il cor non si spaura/".
E mentre Giacomo Leopardi ci allerta di fronte alla presenza di interminati spazi, notiamo che anche l'interminato spazio del De Nittis, spaura e chiede allo spettatore di fermarsi, sedersi sulla riva del fiume, sostare e con serenità, tentare di scoprire, cosa si nasconde dietro la lama d'ombre. Scrive Giacomo Leopardi: "E come il vento/. Odo stormir tra queste piante, io quello/Infinito silenzio a questa voce/Vo comparando: e mi sovvien l'eterno/, E le morte stagioni, e la presente/E viva, e il suon di lei. Così tra questa/Immensità s'annega il pensier mio:/E il naufragar m'è dolce in questo mare./" La lama d'ombre posta all'orizzonte da Giuseppe De Nittis, rappresenta, metaforicamente, l'ostacolo che impedisce di vedere "oltre l'orizzonte", trasformando l'osservatore in un inquieto naufrago. Così, l'orizzonte infinito stabilito dal De Nittis, trova vita dinamica nella metafora della siepe leopardiana; e nell'infinito silenzio che si ascolta sulle rive del Fiume Ofanto, non bastano gli occhi per scoprire la bellezza interiore della natura, ma ci vorrebbe anche lo sguardo del cuore, quello dei sentimenti interiori, come succede al protagonista del canto leopardiano, travolto da una visione profonda allestita dalla drammaturgia umana. In quest'opera, l'anima visionaria del pittore barlettano, descrive e combatte il senso d'entropia e di disordine che pesa sull'uomo, attraverso la rappresentazione di figure icastiche, capaci di contenere la deriva con il rigore applicato dall'essere umano per la sua salvaguardia. E tra derive di cose invisibili e amori perduti e inconsolabili, il tempo maturerà l'incontrovertibile destino dell'umana sorte.
Riproduzione riservata
Ricevi aggiornamenti e contenuti da Barletta 





.jpg)


