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Celebrazioni per l'82° anniversario della battaglia di Barletta, una riflessione di Roberto Tarantino
La nota del presidente provinciale Anpi Bat
Barletta - venerdì 5 settembre 2025
12.00 Comunicato Stampa
«Troppo spesso, negli ultimi tempi, si sono ripetute (a Barletta come in tutt'Italia) parole come Patria e patrioti. Qui da noi, chi non si esalta per lo spettacolo delle Frecce tricolori non è un patriota; chi rimane tiepido di fronte all'annuale rievocazione della Disfida di Barletta non ama la Patria… Visto questo novello, cittadino ardore patriottico voglio sperare che quest'anno sarà dato maggiore risalto e riservata maggiore attenzione - rispetto al passato - all'annuale anniversario (l'ottantaduesimo) della "battaglia di Barletta"». Così il presidente Anpi Bat, Roberto Tarantino.
«Nel settembre 1943, dopo l'armistizio di Cassibile, mente quasi ovunque l'esercito italiano si sbandava a causa della colpevole e scellerata mancanza di ordini da parte del re e di Badoglio, a Barletta ufficiali e soldati rimasero disciplinatamente, responsabilmente e coraggiosamente al proprio posto: nessuno di loro gettò la divisa per scappare o per nascondersi; nessuno si sottrasse al compito di difendere la città. L'11 settembre Barletta fu attaccata dalla Wehrmacht e, nonostante le poche armi e munizioni di cui disponeva, la difesa predisposta dal colonnello Francesco Grasso funzionò e riuscì a respingere gli aggressori.
Nella notte dello stesso giorno, il maresciallo Vito Muggeo, raggiunse rocambolescamente il comando del IX Corpo d'Armata di Bari dove trovò solo il tenente colonnello Aloisi (i suoi superiori erano già scappati e si erano messi al sicuro a Brindisi) a cui riferì cosa fosse avvenuto a Barletta e chiese rinforzi e munizioni per proseguire la resistenza e contrastare efficacemente un prevedibile nuovo attacco alla città. Il tenente colonnello Aloisi, dopo aver consultato telefonicamente i suoi superiori, non fece altro che chiedere al comando del presidio militare di Barletta una "dettagliata relazione scritta". Niente aiuti; evidentemente poco importava il destino di Barletta e dei Barlettani. Il 12 settembre avvenne ciò che era prevedibile succedesse e che tutti i miei concittadini dovrebbero sapere: l'attacco in forze da parte dei Tedeschi, il superamento delle difese italiane, l'occupazione della città, l'eccidio dei dieci vigili e dei due netturbini, l'uccisione di altri 22 civili inermi e innocenti: bambini, donne, anziani, il ferimento di oltre ottanta civili.
Per le vicende del settembre 1943 alla città di Barletta sono state conferite la Medaglia d'oro al Merito civile e la Medaglia d'oro al Valor militare. I militari che avevano difeso Barletta e gli altri comunque presenti in città, anche se non inquadrati nei reparti combattenti, furono catturati e, molti di loro, finirono nei campi di concentramento nazisti. Oltre settecento militari barlettani, sparsi in tutti i fronti della criminale guerra voluta da Mussolini e abbandonati al loro destino, seguirono la medesima sorte: non meno di 50 di loro non fecero più ritorno a casa. Tra loro Antonio Russo, morto nel lazzaretto di Zeithain, il 18 agosto 1945, all'età di 23 anni.
Nella sua ultima lettera del 6 luglio 1945, scrisse: «mamma cara, […] vorrei che tu fossi qui per poterti convincere della mia serenità e tranquillità. Le mie giornate non sono affatto tristi, aspetto che si compia quanto desidero da tempo, […] non ho sofferto e non soffro, mamma, perciò non voglio che nessuno soffra per me, soprattutto tu. […] Ora vorrei pregare e vorrei che sentissero, fin nel profondo del cuore, i miei fratelli quello che io chiedo loro […] vi prego di circondarla di tanto affetto, di tanta venerazione, di tanto rispetto. il mio forte abbraccio a tutti».
Francesco Grasso, il comandante del presidio militare di Barletta, nel suo diario dai lager nei quali fu internato parla delle ripetute, assillanti richieste di collaborare con i nazisti e con i fascisti di Salò e, il 4 novembre 1943 scrive: «Giunge al campo il generale Renato C. già Comandante la Difesa di Treviso. […] Notiamo che è disarmato e che è costantemente accompagnato da due ufficiali tedeschi che non l'abbandonano un solo istante. […] il suo non è che un discorso di propaganda a favore dei Tedeschi; la rappresentazione dei benefici che ci deriveranno dall'aderire alla Repubblica instaurata da Mussolini e la preconizzazione della fame e della morte per quelli che si ostineranno a rispettare un giuramento che deve considerarsi sciolto in seguito alla condotta tenuta dal Re. Viene fatta circolare la formula che dovremmo sottoscrivere e che è la seguente: "Aderisco all'idea repubblicana dell'Italia Repubblicana Fascista e mi dichiaro volontariamente pronto a combattere, con le armi, nel costituendo nuovo esercito italiano del Duce, senza riserve, anche sotto il Comando Supremo Tedesco contro il comune nemico dell'Italia Repubblicana Fascista e del grande Reich germanico". Indignazione. Proteste ad alta voce che diventano
vero tumulto. Usciamo dall'aula meno pochi, un centinaio forse, che saranno quelli che sottoscriveranno».
E ancora il 25 novembre 1943: "Ogni adesione significa collaborare e dare ai nostri nemici possibilità di una più lunga resistenza. Io risponderò sempre: no". Antonio Russo, Francesco Grasso e gli altri militari italiani internati nei lager, con le loro difficili scelte individuali, furono protagonisti del primo atto collettivo di ribellione contro nazisti e fascisti e contro la guerra da loro voluta.
Nel gelo di quelle baracche moriva, grazie a quegli uomini, la patria fascista: quella delle tronfie sfilate; della violenza, dei tribunali speciali, dei campi di concentramento dove soffocare ogni opposizione; quella del diritto di aggredire popoli e nazioni ritenute inferiori in virtù di una presunta superiorità militare, etnica e razziale; quella del "credere, obbedire e combattere"; quella per la quale "il destino delle donne è diventare reginette della casa, perché la Patria di serve anche spazzando la propria casa"; quella convinta che "La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia. (Benito Mussolini su Il Popolo d'Italia del 31 agosto 1934)".
E, mentre, moriva la patria fascista, cominciava a delinearsi la nuova patria che crebbe - poi - grazie ai sogni e alle speranze dei partigiani e delle partigiane che si chiamavano tra loro "patrioti" (non meno di trecento i barlettani) e che fu scritta nella Costituzione italiana: la Patria che "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" la Patria nella quale "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"; la Patria che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Non tanti conoscono la storia dei nostri militari internati nei lager nazisti e, quest'anno in particolare, è necessario ricordarli e onorarli; lo prevede (finalmente) una legge dello Stato, la Legge 13 gennaio 2025, n. 6 "Istituzione della Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale" che si celebra il 20 settembre. Come risponderà la nostra città?»
«Nel settembre 1943, dopo l'armistizio di Cassibile, mente quasi ovunque l'esercito italiano si sbandava a causa della colpevole e scellerata mancanza di ordini da parte del re e di Badoglio, a Barletta ufficiali e soldati rimasero disciplinatamente, responsabilmente e coraggiosamente al proprio posto: nessuno di loro gettò la divisa per scappare o per nascondersi; nessuno si sottrasse al compito di difendere la città. L'11 settembre Barletta fu attaccata dalla Wehrmacht e, nonostante le poche armi e munizioni di cui disponeva, la difesa predisposta dal colonnello Francesco Grasso funzionò e riuscì a respingere gli aggressori.
Nella notte dello stesso giorno, il maresciallo Vito Muggeo, raggiunse rocambolescamente il comando del IX Corpo d'Armata di Bari dove trovò solo il tenente colonnello Aloisi (i suoi superiori erano già scappati e si erano messi al sicuro a Brindisi) a cui riferì cosa fosse avvenuto a Barletta e chiese rinforzi e munizioni per proseguire la resistenza e contrastare efficacemente un prevedibile nuovo attacco alla città. Il tenente colonnello Aloisi, dopo aver consultato telefonicamente i suoi superiori, non fece altro che chiedere al comando del presidio militare di Barletta una "dettagliata relazione scritta". Niente aiuti; evidentemente poco importava il destino di Barletta e dei Barlettani. Il 12 settembre avvenne ciò che era prevedibile succedesse e che tutti i miei concittadini dovrebbero sapere: l'attacco in forze da parte dei Tedeschi, il superamento delle difese italiane, l'occupazione della città, l'eccidio dei dieci vigili e dei due netturbini, l'uccisione di altri 22 civili inermi e innocenti: bambini, donne, anziani, il ferimento di oltre ottanta civili.
Per le vicende del settembre 1943 alla città di Barletta sono state conferite la Medaglia d'oro al Merito civile e la Medaglia d'oro al Valor militare. I militari che avevano difeso Barletta e gli altri comunque presenti in città, anche se non inquadrati nei reparti combattenti, furono catturati e, molti di loro, finirono nei campi di concentramento nazisti. Oltre settecento militari barlettani, sparsi in tutti i fronti della criminale guerra voluta da Mussolini e abbandonati al loro destino, seguirono la medesima sorte: non meno di 50 di loro non fecero più ritorno a casa. Tra loro Antonio Russo, morto nel lazzaretto di Zeithain, il 18 agosto 1945, all'età di 23 anni.
Nella sua ultima lettera del 6 luglio 1945, scrisse: «mamma cara, […] vorrei che tu fossi qui per poterti convincere della mia serenità e tranquillità. Le mie giornate non sono affatto tristi, aspetto che si compia quanto desidero da tempo, […] non ho sofferto e non soffro, mamma, perciò non voglio che nessuno soffra per me, soprattutto tu. […] Ora vorrei pregare e vorrei che sentissero, fin nel profondo del cuore, i miei fratelli quello che io chiedo loro […] vi prego di circondarla di tanto affetto, di tanta venerazione, di tanto rispetto. il mio forte abbraccio a tutti».
Francesco Grasso, il comandante del presidio militare di Barletta, nel suo diario dai lager nei quali fu internato parla delle ripetute, assillanti richieste di collaborare con i nazisti e con i fascisti di Salò e, il 4 novembre 1943 scrive: «Giunge al campo il generale Renato C. già Comandante la Difesa di Treviso. […] Notiamo che è disarmato e che è costantemente accompagnato da due ufficiali tedeschi che non l'abbandonano un solo istante. […] il suo non è che un discorso di propaganda a favore dei Tedeschi; la rappresentazione dei benefici che ci deriveranno dall'aderire alla Repubblica instaurata da Mussolini e la preconizzazione della fame e della morte per quelli che si ostineranno a rispettare un giuramento che deve considerarsi sciolto in seguito alla condotta tenuta dal Re. Viene fatta circolare la formula che dovremmo sottoscrivere e che è la seguente: "Aderisco all'idea repubblicana dell'Italia Repubblicana Fascista e mi dichiaro volontariamente pronto a combattere, con le armi, nel costituendo nuovo esercito italiano del Duce, senza riserve, anche sotto il Comando Supremo Tedesco contro il comune nemico dell'Italia Repubblicana Fascista e del grande Reich germanico". Indignazione. Proteste ad alta voce che diventano
vero tumulto. Usciamo dall'aula meno pochi, un centinaio forse, che saranno quelli che sottoscriveranno».
E ancora il 25 novembre 1943: "Ogni adesione significa collaborare e dare ai nostri nemici possibilità di una più lunga resistenza. Io risponderò sempre: no". Antonio Russo, Francesco Grasso e gli altri militari italiani internati nei lager, con le loro difficili scelte individuali, furono protagonisti del primo atto collettivo di ribellione contro nazisti e fascisti e contro la guerra da loro voluta.
Nel gelo di quelle baracche moriva, grazie a quegli uomini, la patria fascista: quella delle tronfie sfilate; della violenza, dei tribunali speciali, dei campi di concentramento dove soffocare ogni opposizione; quella del diritto di aggredire popoli e nazioni ritenute inferiori in virtù di una presunta superiorità militare, etnica e razziale; quella del "credere, obbedire e combattere"; quella per la quale "il destino delle donne è diventare reginette della casa, perché la Patria di serve anche spazzando la propria casa"; quella convinta che "La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia. (Benito Mussolini su Il Popolo d'Italia del 31 agosto 1934)".
E, mentre, moriva la patria fascista, cominciava a delinearsi la nuova patria che crebbe - poi - grazie ai sogni e alle speranze dei partigiani e delle partigiane che si chiamavano tra loro "patrioti" (non meno di trecento i barlettani) e che fu scritta nella Costituzione italiana: la Patria che "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" la Patria nella quale "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"; la Patria che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Non tanti conoscono la storia dei nostri militari internati nei lager nazisti e, quest'anno in particolare, è necessario ricordarli e onorarli; lo prevede (finalmente) una legge dello Stato, la Legge 13 gennaio 2025, n. 6 "Istituzione della Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale" che si celebra il 20 settembre. Come risponderà la nostra città?»
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