Pietro Mennea
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Pietro Mennea: dal 19”72 all’oro di Mosca – Parte prima

Uno dei momenti più importanti della carriera sportiva della “freccia del Sud”

Fiumi di inchiostro e milioni su milioni di bit si sono sprecati nel narrare le gesta sportive di Pietro Mennea, talvolta senza evitare di scadere nella retorica più banale.

In occasione del quarantennale della medaglia d'oro conquistata dal nostro più illustre concittadino a Mosca nelle controverse Olimpiadi del 1980, azionando un metaforica macchina del tempo proveremo a raccontare i dieci mesi più importanti della carriera sportiva della "freccia del Sud", partendo dal celeberrimo primato di 19"72 stabilito alle Universiadi di Mexico City '79 fino all'apoteosi olimpica moscovita dell'anno successivo.

E' mercoledì 12 settembre 1979, siamo a Città del Messico per la X Universiade. Il laureando in Scienze Politiche Pietro Paolo Mennea conquista l'oro nei 200 metri piani stupendo il mondo con il suo 19" 72 con cui stabilisce il primato mondiale nella specialità.

Il record di Mennea è la ciliegina sulla torta che va a chiudere un 1979 particolarmente denso di successi per lo sport italiano che ha visto in giugno il trionfo di Beppe Saronni davanti a Francesco Moser al Giro d'Italia, le ottime performance nel motomondiale di Virginio Ferrari e Franco Uncini nella Classe 500, di Graziano Rossi (padre di Valentino) nella 250, e infine, appena tre giorni prima dello storico exploit di Mennea, la grande marea rossa accorsa all'autodromo di Monza per salutare il trionfo in parata della Ferrari 312 T4 (matematicamente campione del mondo piloti e costruttori) guidata da Jody Scheckter e da Gilles Villeneuve, con quest'ultimo protagonista in luglio a Digione con il francese della Renault turboalimentata Renè Arnoux del più entusiasmante ruota a ruota mai visto nella storia dell'automobilismo.

Il primato mondiale nei 200 metri (specialità dove Mennea eccelle) ottenuto a Città del Messico, è il punto più alto fino a quel momento della folgorante carriera del velocista barlettano già medaglia d'oro agli Europei di Roma '74 e Praga '78 (dove trionfa anche nei 100 metri piani) e, per tutti gli anni Settanta, autentico cannibale alle Universiadi e ai Giochi del Mediterraneo (non c'erano ancora i mondiali). Risultati eccezionali che fanno di Mennea il simbolo dell'atletica italiana e mondiale.

Unico neo in una carriera strepitosa, la mancanza di quell'oro olimpico sfuggito prima a Monaco '72 - dove l'appena ventunenne Mennea si aggiudica il bronzo alle spalle del sovietico Valerij Borzov (suo storico avversario) e dell'americano Larry Black - , e poi a Montreal '76, dove arriva non al massimo della condizione e fallisce il podio.

Ed è proprio all'oro olimpico delle prossime Olimpiadi di Mosca '80 che - tra una lacrima di gioia e l'altra per il record mondiale appena conquistato - Pietro Mennea sta già pensando, affannosamente rincorso sulla pista d'atletica dell' "Estadio Olimpico" di Città del Messico dagli esausti intervistatori Gianni Minà e Paolo Frajese.

Ma la storia delle Olimpiadi di quegli anni è una storia alquanto tormentata. Una storia nella quale i confini tra guerra, politica e sport sembrano essere completamente saltati dopo che la strage degli atleti israeliani a Monaco '72 e il boicottaggio dei paesi africani - in protesta contro i paesi in rapporti col Sud Africa dell'Apartheid – a Montreal '76.

Per Mosca 1980 non sembrano invece esserci particolari problemi. Fino al 27 dicembre 1979, quando l'attenzione del mondo intero e le lancette della storia si fermano a Kabul, in Afghanistan, dove un colpo di Stato, guidato dall'Unione Sovietica di Leonid Ilic Breznev, destituisce il governo filocomunista di Azifullah Amin, sempre più inviso alla popolazione. Al posto di Amin, che sarà ucciso di li a poco, i sovietici ci mettono il loro fantoccio Babrak Karmal proprio allo scopo di quietare quel malcontento popolare nel quale i mujaheddin islamici (coadiuvati dagli Stati Uniti di Jimmy Carter) continuano a fare proseliti.

Nel frattempo, completamente incuranti dei richiami della comunità internazionale, i giganteschi aerei da trasporto Antonov continuano a sbarcare a Kabul centinaia e centinaia di militari sovietici. Il tutto mentre altri 50.000 soldati dell'Armata Rossa sono già belli e schierati al confine nell'attesa di mettere in atto anche in Afghanistan quel "metodo cecoslovacco" che scatterà inevitabilmente nei giorni successivi, proprio all'alba dell'anno delle Olimpiadi di Mosca.

Per tutta la prima metà del 1980 il dibattito nei paesi occidentali sarà imperniato sul tormentone "Olimpiadi si" o "Olimpiadi no". Gli Stati Uniti decidono subito per il boicottaggio. "Non commetteremo lo stesso errore fatto a Berlino nel 1936". Dichiara solennemente il presidente democratico Jimmy Carter, in realtà preoccupato più di salvaguardare la sua immagine già pesantemente azzoppata dalla questione degli ostaggi in Iran.

E in Italia? Dopo mesi passati a disquisire sul "perché la Coppa Davis in Cile e i Mondiali di calcio in Argentina si, e le Olimpiadi a Mosca no", la decisione definitiva viene presa dal governo Cossiga il 19 maggio 1980. Ed è il solito compromesso al ribasso capace di scontentare tutti, atleti compresi. In sostanza l'Italia dice no alle Olimpiadi di Mosca ma lascia al CONI la facoltà di decidere.

In tutto questo triste baillamme, il pensiero di Pietro Mennea è quanto mai chiaro e preciso: "Il mio pessimismo aveva dunque un fondamento. Noi atleti è evidente che non contiamo niente. E dire che continuavano a ripeterci 'il tempo lavora per voi'. Si è visto. Possibile che non ci si rende conto che eliminando l'Olimpiade si distrugge la storia della sport? Il rammarico non è solo in prima persona, ma per tutti quelli come me che hanno dedicato anni ed anni per raggiungere un traguardo che ora svanisce".

Fine prima parte
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