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Calcio
Dott. Ferrucci: «Il calcio è veicolo di inclusione sociale»
Il responsabile del progetto “Fuori Centro” ad un mese dallo start
Barletta - venerdì 18 ottobre 2013
Molto spesso si associa il calcio a quel mondo dorato fatto di sponsor, contratti milionari e tanti vizi. Questa è solo la punta di un iceberg purtroppo dimenticato, "sommerso" e accantonato a discapito del più "prolifico" calcio dei campioni. Il Centro di Salute Mentale di Barletta ha invece inteso il calcio come veicolo di inclusione sociale, un ottimo mezzo per non demonizzare coloro che soffrono patologie mentali. Il progetto è partito poco meno di un mese fa con risultati soddisfacenti. A fare un punto dell'iniziativa, che coinvolge diversi utenti del CSM di Barletta, è il dottor Gianni Ferrucci:
Dottor Ferrucci, come è nato questo progetto di affiancare il calcio all'attività di recupero dei suoi pazienti del Centro di Salute Mentale di Barletta?
«Innanzitutto, è nato perché crediamo che il calcio, come sport di gruppo, favorisce determinate dinamiche, soprattutto in soggetti che non sono né abituati né propensi ad avere comunicazione con l'esterno. Quindi già l'identità, l'appartenenza al gruppo, la possibilità di trovarsi all'aria aperta, fuori dal solito ambulatorio e dalle solite quattro mura può essere una vera occasione per creare spunti di socializzazione e di rispetto delle regole. Il calcio è lo sport più semplice, che tutti quanti almeno una volta hanno praticato o praticano tuttora. È uno sport che da delle regole, e in effetti i nostri ragazzi, a progetto avviato, stanno reagendo in maniera molto positiva a questa esperienza».
Cosa hanno provato i vostri ragazzi nel disputare l'amichevole di qualche settimana fa? Posso immaginare che le sedute riservate agli allenamenti siano le più dure da affrontare.
«La partita nasce spontaneamente come dinamica ludica. Abbiamo già incontrato i ragazzi del Centro di Salute Mentale di Bisceglie e Trani sul campo di Trani. È andata benissimo, c'è stata questa forma di condivisione e di incontro. Ma abbiamo voluto strutturare questo progetto in maniera anche più tecnica e se vogliamo più clinica, proponendo anche allenamenti veri e propri. Molto spesso i ragazzi, che sono stati anche sottoposti ad una visita per ottenere l'idoneità sportiva, hanno necessità di occupare degli spazi con regole e disciplina. Di buon grado e in maniera molto spontanea accettano ciò che di tecnico esiste nel contesto dell'allenamento».
Chi è il capofila di questa nuova frontiera della cura clinica affiancata allo sport?
«Sicuramente ci sono anche altri centri in Puglia che hanno sviluppato questa idea, ma in realtà, la prima esperienza è stata fatta dal CSM della A.S.L. di Roma. Siamo partiti proprio da questo esempio: loro fanno partecipare la squadra ad un vero e proprio campionato di Terza Categoria. È una squadra ben strutturata. Al di là di questo periodo in cui si tende a creare panico e a stigmatizzare chi ha una malattia mentale, questa è un'occasione per dimostrare alla città che un ragazzo che porta delle difficoltà di ordine psichico e psicologico può benissimo confrontarsi con lo sport anche alla pari di tutti gli altri ragazzi che solitamente definiamo "normodotati"».
Quali sono i prossimi appuntamenti in programma?
«Abbiamo avuto una disponibilità del Barletta Calcio a disputare un'amichevole a ranghi misti entro la fine dell'anno. Ci mischieremo ai calciatori, in modo tale che i ragazzi possano vivere questo momento da protagonista a fianco dei giocatori professionisti. Contestualmente è in progetto la creazione di un torneo, a cui noi chiameremo a partecipare anche le varie realtà di privato sociale, di volontariato, e anche le parrocchie, per creare una competizione in cui i ragazzi potranno esprimere quanto perfezionato in sede d'allenamento. Altri pazienti frequentano l'ippoterapia, in passato ci sono state anche esperienze per altri sport. Noi ovviamente ci apriamo a nuove proposte per altri sport, perché non tutti praticano il calcio. È chiaro che fortunatamente nel nostro caso abbiamo avuto il supporto dell'Ufficio Sport del Comune di Barletta che ci ha messo a disposizione a costo zero la struttura del "Manzi-Chiapulin", una struttura adeguata a questo tipo di progetto, a dimostrazione anche che lo sport non è solo quello di Balotelli e dei grandi campioni, ma è soprattutto veicolo di socializzazione e di recupero sociale, oltre che di salute».
Dottor Ferrucci, come è nato questo progetto di affiancare il calcio all'attività di recupero dei suoi pazienti del Centro di Salute Mentale di Barletta?
«Innanzitutto, è nato perché crediamo che il calcio, come sport di gruppo, favorisce determinate dinamiche, soprattutto in soggetti che non sono né abituati né propensi ad avere comunicazione con l'esterno. Quindi già l'identità, l'appartenenza al gruppo, la possibilità di trovarsi all'aria aperta, fuori dal solito ambulatorio e dalle solite quattro mura può essere una vera occasione per creare spunti di socializzazione e di rispetto delle regole. Il calcio è lo sport più semplice, che tutti quanti almeno una volta hanno praticato o praticano tuttora. È uno sport che da delle regole, e in effetti i nostri ragazzi, a progetto avviato, stanno reagendo in maniera molto positiva a questa esperienza».
Cosa hanno provato i vostri ragazzi nel disputare l'amichevole di qualche settimana fa? Posso immaginare che le sedute riservate agli allenamenti siano le più dure da affrontare.
«La partita nasce spontaneamente come dinamica ludica. Abbiamo già incontrato i ragazzi del Centro di Salute Mentale di Bisceglie e Trani sul campo di Trani. È andata benissimo, c'è stata questa forma di condivisione e di incontro. Ma abbiamo voluto strutturare questo progetto in maniera anche più tecnica e se vogliamo più clinica, proponendo anche allenamenti veri e propri. Molto spesso i ragazzi, che sono stati anche sottoposti ad una visita per ottenere l'idoneità sportiva, hanno necessità di occupare degli spazi con regole e disciplina. Di buon grado e in maniera molto spontanea accettano ciò che di tecnico esiste nel contesto dell'allenamento».
Chi è il capofila di questa nuova frontiera della cura clinica affiancata allo sport?
«Sicuramente ci sono anche altri centri in Puglia che hanno sviluppato questa idea, ma in realtà, la prima esperienza è stata fatta dal CSM della A.S.L. di Roma. Siamo partiti proprio da questo esempio: loro fanno partecipare la squadra ad un vero e proprio campionato di Terza Categoria. È una squadra ben strutturata. Al di là di questo periodo in cui si tende a creare panico e a stigmatizzare chi ha una malattia mentale, questa è un'occasione per dimostrare alla città che un ragazzo che porta delle difficoltà di ordine psichico e psicologico può benissimo confrontarsi con lo sport anche alla pari di tutti gli altri ragazzi che solitamente definiamo "normodotati"».
Quali sono i prossimi appuntamenti in programma?
«Abbiamo avuto una disponibilità del Barletta Calcio a disputare un'amichevole a ranghi misti entro la fine dell'anno. Ci mischieremo ai calciatori, in modo tale che i ragazzi possano vivere questo momento da protagonista a fianco dei giocatori professionisti. Contestualmente è in progetto la creazione di un torneo, a cui noi chiameremo a partecipare anche le varie realtà di privato sociale, di volontariato, e anche le parrocchie, per creare una competizione in cui i ragazzi potranno esprimere quanto perfezionato in sede d'allenamento. Altri pazienti frequentano l'ippoterapia, in passato ci sono state anche esperienze per altri sport. Noi ovviamente ci apriamo a nuove proposte per altri sport, perché non tutti praticano il calcio. È chiaro che fortunatamente nel nostro caso abbiamo avuto il supporto dell'Ufficio Sport del Comune di Barletta che ci ha messo a disposizione a costo zero la struttura del "Manzi-Chiapulin", una struttura adeguata a questo tipo di progetto, a dimostrazione anche che lo sport non è solo quello di Balotelli e dei grandi campioni, ma è soprattutto veicolo di socializzazione e di recupero sociale, oltre che di salute».
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