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Fratelli d'Italia risponde a Porzia Petrone: «Dispiaciuti per la sua lettera, negare la memoria significa continuare a dividere»

La nota del gruppo consiliare

«Tralasciando ogni considerazione che ne viene fatta sul Movimento Sociale Italiano quale "forza politica dalla quale deriva Fratelli d'Italia", ma che -ricordiamo ai più- essere quest'ultimo un partito costituzionalmente riconosciuto e che oggi esprime un Presidente del Consiglio votato democraticamente dalla maggioranza degli italiani, proviamo con ossequio a fare delle riflessioni sull' odg Ramelli - Petrone che da giorni sta generando polemiche. Apprendiamo, infatti, con rispetto, ma anche con profondo dispiacere della decisione della famiglia di Benedetto Petrone di rifiutare l'intitolazione di una strada in sua memoria, come reazione al fatto che il Consiglio comunale di Barletta ha approvato anche l'intitolazione di una via a Sergio Ramelli». Così i consiglieri di Fratelli d'Italia Stella Mele, Riccardo Memeo, Gigi Antonucci e Martina Gorgoglione

«La decisione merita di essere commentata con serietà, con rispetto, ma anche con chiarezza. Comprendiamo il dolore. Comprendiamo la storia personale, lacerata da una violenza politica che in quegli anni ha insanguinato il Paese. Comprendiamo anche la difficoltà, umana e profonda, di vedere accostato il nome del proprio caro a quello di chi, innocentemente, apparteneva a un campo politico opposto. Ma non possiamo condividere l'idea che la memoria si difenda rifiutando il riconoscimento pubblico, solo perché un altro nome — anch'esso vittima, anch'esso giovane, anch'esso ucciso per odio — riceve lo stesso trattamento.

Il punto non è, e non deve essere, la simmetria politica tra Ramelli e Petrone. Benedetto Petrone è stato assassinato per le sue idee. Come Sergio Ramelli. In tempi diversi, in contesti diversi, con appartenenze politiche diverse. Ma c'è qualcosa che li unisce: entrambi sono morti perché qualcuno aveva deciso che chi la pensava diversamente non aveva diritto di esistere. Entrambi sono figli di un'Italia che non ha saputo proteggere i suoi giovani dall'odio politico. Rifiutare la memoria dell'uno per negazione dell'altro significa continuare a dividere, dove invece avremmo il dovere di riconciliare. Significa usare la memoria come campo di battaglia, anziché come terreno comune su cui costruire una coscienza civile condivisa. Significa perpetuare, inconsapevolmente, la logica della contrapposizione. Quella stessa logica che ha portato alla morte di Sergio e di Benedetto. E di tante altre giovani vittime.

Non stiamo equiparando ideologie. Stiamo riconoscendo vite spezzate, in nome di un principio: mai più violenza politica, mai più odio tra giovani, mai più morti in nome delle idee. Alla famiglia Petrone diremmo con sincero rispetto: Benedetto merita quella strada, perché questo Paese ha bisogno di ricordare tutte le sue ferite. La sua uccisione è una ferita ancora aperta e il suo nome merita di vivere nello spazio pubblico. Ma questo non può avvenire solo a condizione che altri nomi – come quello di Sergio Ramelli, anch'egli vittima innocente della violenza politica – vengano denigrati, cancellati o ignorati.

La memoria non si sporca quando si allarga: si rafforza. Rifiutarla è un'occasione persa. Per tutti noi. Le strade intitolate alle vittime del terrorismo e dell'odio ideologico non sono tributi a un colore politico. Sono moniti che hanno il compito di metterci tutti davanti alla stessa domanda: "Abbiamo imparato qualcosa da quella stagione?"

Per questo dispiace che la famiglia di Benedetto Petrone abbia scelto di opporsi. Dispiace perché, proprio nel momento in cui non solo la Nazione, ma anche la città di Barletta prova faticosamente a ricucire tante sue ferite, questo gesto suona come un passo indietro. Pensiamo, infatti, che in un Paese ancora attraversato da troppi rancori ideologici, la politica abbia il dovere di farsi carico della complessità della storia. E di dire, con chiarezza, che la Repubblica riconosce e onora ogni cittadino che è caduto perché altri avevano deciso che il dissenso si eliminava con la violenza. Con quell'ordine del giorno non abbiamo mai inteso fare revisionismo. E dispiace che siano state, e non di rado, artatamente strumentalizzate le nostre intenzioni, intrise invece di un sincero sentimento di rispetto. Con quell'ordine del giorno abbiamo voluto dire una verità semplice: ogni giovane ucciso per le sue idee è una perdita per la democrazia. E chi si oppone di accettare questa verità, pur nel proprio dolore, contribuisce – senza volerlo – a lasciare intatte le ferite del passato. La memoria è un terreno comune, difficile, ma necessario, su cui costruire coscienza democratica e cultura politica. Oggi abbiamo perso un'occasione. Ma non tutto è perduto. Perché la memoria, quando è autentica, alla fine resiste a tutto».
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