E se lOfanto esondasse
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Territorio

E se l'Ofanto esondasse? Il ruolo del Parco regionale Fiume Ofanto

Intervista al presidente del parco, l’architetto Mauro Iacoviello

Continua il nostro approfondimento sulle eventuali condizioni di rischio a cui sarebbe esposto il territorio attraversato dal fiume Ofanto, nel caso - certamente non auspicabile - in cui si verifichi un'alluvione oppure precipitazioni intense.

Nell'articolo precedente, il dott. Ruggiero Dellisanti ha espresso il suo parere da geologo. Abbiamo quindi posto la nostra attenzione anche sulle affermazioni dell'architetto dott. Mauro Iacoviello, direttore del Parco regionale Fiume Ofanto.

Differenze tra la piana dell'Ofanto e la piana dell'Emilia-Romagna

Cerchiamo quindi di capire se l'Ofanto o la piana dell'Ofanto siano soggetti ad una serie di problematiche analoghe a quelle che si sono verificate in Emilia-Romagna.

"A differenza della piana dell'area della Romagna, dove l'urbanizzazione si spinge fino sotto al fiume e dove i fiumi convivono con dei sistemi insediativi di vicinanza - per intenderci i fiumi sono a poca distanza dalle case, a poca distanza dalle infrastrutture, dalle aree industriali, perché magari nel corso degli anni, dei secoli, non è mai capitata una situazione così paradossale e quindi si è creata questa condizione di vicinanza tra insediamento e fiume - l'Ofanto ha una caratteristica: quella di aver mantenuto nel corso dei secoli una distanza importante dai centri abitati" - così inizia il dott. Iacoviello.

"Vicino al fiume non ci sono delle aree presidiate con delle infrastrutture importanti, al massimo si troveranno dei vivai, ma non ci sono impianti produttivi, aree industriali, cosa che invece accade nell'area dell'Emilia-Romagna".

Attraverso questa affermazione, l'architetto Iacoviello ci spiega come il rischio che una piena dell'Ofanto, che è comunque immaginabile, possa interessare delle aree presidiate è veramente molto difficile. "Il rischio, se non altro, è molto più ridotto perché ci sono molti meno beni esposti all'area di esondazione". Continua dicendo: "Questo perché la popolazione conosceva la natura del fiume condizionato dalle piene che invadevano territori molto ampi. I loro centri abitati, quindi, si sono sempre collocati a distanze di estrema sicurezza rispetto al fiume: non a caso, tutti i centri mediamente sono alla distanza di tre, quattro, cinque, dieci Km dal fiume, quindi in aree di sicurezza".

Un'agricoltura a rischio

L'architetto Iacoviello ci fornisce invece delucidazioni circa i rischi a cui invece incorrerebbe l'attività agricola: "È ovvio che invece l'agricoltura è quella che si è spinta di più in questi terreni, in queste aree e quindi oggi le attività agricole sono quelle più esposte. Però bisogna fare anche una considerazione: che il fiume, prima che si realizzassero gli argini in terra battuta - lavori di difesa idraulica incominciati nel 1960 - era libero di vagare in assoluta tranquillità nelle aree di divagazione naturale. Quando queste aree sono state progressivamente rettificate con gli argini, lo spessore si è notevolmente ridotto, quindi in realtà, se oggi il fiume dovesse in qualche maniera interessare aree esterne al suo letto naturale è perché interessa dei territori naturali vocati al deflusso delle acque. A partire dagli anni '60 ad oggi questi territori si sono trasformati in agricoltura e quindi si è creata una condizione di maggiore vicinanza".

Dopo aver ammesso quanto fosse di fondamentale importanza aver realizzato degli argini, affinché contenessero le piene, il dott. Iacoviello ricorda quanto sia altrettanto importante ricordare che il fiume non è solo un canale d'acqua, ma anche un ecosistema. "Certamente bisogna continuare ad attuare questi interventi di manutenzione straordinaria degli argini e delle aree di golena. Però è anche vero che la Comunità Europea spiega come la gestione dei corpi idrici non può essere fatta applicando solamente un concetto idraulico, cioè l'acqua deve scorrere e quindi deve essere libera di scorrere. I fiumi non sono solo canali, ma sono anche ecosistemi, quindi bisogna contemperare le diverse esigenze: quella di natura idraulica e quelle di natura ambientale e naturalistica.

Viceversa, un'agricoltura che mette a rischio

Abbiamo quindi chiesto all'architetto Iacoviello se le attività agricole potrebbero in qualche modo causare dei rischi nel caso di una eventuale inondazione. "Quando si parla di gestione del rischio, una componente importante è legata alla memoria delle persone, per cui il fatto che il fiume per dieci, venti, trent' anni non ha mai esondato non vuol dire che non esonderà. Quindi gli agricoltori si sono assunti un rischio. Certamente sono stati realizzati degli argini perché il fiume potesse salvaguardare quelle aree occupate nel tempo dalle coltivazioni agricole. E quindi il fiume è stato stretto negli argini. Ora, a questo punto, quello che possiamo fare è avere un approccio di natura un po' più integrata: nelle aree di maggior rischio, probabilmente, gli agricoltori devono cominciare a produrre delle coltivazioni che possano andare sotto l'acqua e quindi non avere danni. Oppure accettare questo rischio e quindi muoversi di conseguenza".

Interventi nelle 'aree di golena'

Ma il problema principale, ci spiega l'architetto Iacoviello, si pone nel caso delle aree di golena, già citate nell'articolo precedente con il dott. Dellisanti. "Nelle aree di golena poi, che sono molto strette, il Parco Regionale sta portando avanti un progetto di corresponsabilità e di cogestione. Questo perché sono aree estremamente delicate e perché possano funzionare e quindi possano permettere all'acqua di scorrere velocemente, consentendo alla fauna di poter essere presente e all'acqua stessa di avere una buona qualità, bisogna portare avanti un'azione di cogestione. E quindi, siccome l'ente pubblico non è in grado di fare una manutenzione costante e così diffusa per un tratto di territorio così alto si chiede agli agricoltori di essere in qualche modo compartecipi di quella gestione. Una compartecipazione – ci spiega il dott. Iacoviello - che si tradurrebbe attraverso coltivazioni più compatibili con le componenti ambientali, idrauliche e naturalistiche, che in qualche maniera fanno da presidio, da manutenzione al territorio". Un tipo di intervento, quindi, che permetterebbe all'eventuale piena di divagare più liberamente. Questa sezione idraulica più ampia diminuirebbe di conseguenza il rischio di esondazione.

Conclude quindi il direttore del Parco regionale Fiume Ofanto: "Il messaggio più importante è che nei fiumi bisogna applicare un concetto di approccio integrato così da permettere a queste tre componenti fondamentali – minor rischio idraulico, difesa degli habitat e qualità delle acque - di essere in qualche maniera presenti. Per poter mantenere tutti e tre questi elementi in equilibrio, c'è bisogno di un approccio di corresponsabilità in cui tutti, non solo uno o più enti, intervengano".
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