Domenico Vacca
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Domenico Vacca, “maestro di classe ed eleganza” e patrimonio pugliese nel mondo

A tu per tu con lo stilista che con le sue creazioni “culturali” racconta all’America le bellezze di Puglia

Domenico Vacca è di casa nella Grande Mela ma appartiene al "patrimonio pugliese nel mondo". Chi lo conosce, sa che il suo nome non può essere disgiunto dal concetto di classe ed eleganza riconosciuta in tutto il globo.

Andriese d'origine e partito dalla nostra regione, di strada da allora ne ha fatta, facendo sfoggio di quel talento e quella caparbietà che gli hanno permesso di essere riconosciuto come "ambasciatore del lusso italiano in America" da parte del New York Times. Ha vestito le più importanti personalità dello star system da Dustin Hoffman, ad Al Pacino, a Denzel Washington, a Mickey Rourke giusto per citarne un numero esiguo. Non ha mai dimenticato la propria terra e il bel paese.

La sua è anche però la storia di un uomo che, partito dalla sesta provincia pugliese, ha portato in giro per il mondo l'eleganza e il gusto italiano, con sacrificio, preparazione e la lungimiranza (che nella vita fa la differenza). Ha ottenuto un grande successo di pubblico e con le sue creazioni - definite da lui stesso "culturali" - ogni volta racconta la storia di una terra meravigliosa per i suoi colori che riflettono la terra del grano, gli ulivi secolari e un cielo che si perde nel mare più blu. Con una laurea in giurisprudenza e un master in diritto americano, dopo aver lavorato presso lo studio legale Baker McKenzie, ha saputo farsi largo oltre oceano distinguendosi tra le migliori personalità italiane e pugliesi nel mondo. È tra gli stilisti più affermati e il suo palazzo di dieci piani sulla quinta strada vanta un parrucchiere, una caffetteria (dove si beve caffè italiano), una galleria d'arte, uno studio fotografico, un club privato arredato con i marmi tranesi e chianche pugliesi, e circa trenta appartamenti che riflettono "il gusto Domenico Vacca". Abbiamo voluto raccontare lo stilista, l'imprenditore e l'uomo.

Sulla terrazza del Marè Resort, approfittando della vista privilegiata di Trani e di un meraviglioso scorcio altrettanto suggestivo, lo abbiamo incontrato per farci raccontare la storia del suo successo ma anche degli affetti più sinceri che lo legano alla nostra terra.

Il premio di cui è stato insignito il 16 dicembre l'ha riconosciuta tra le migliori personalità capaci di far conoscere la Puglia nel mondo. Ma chi era Domenico Vacca prima di giungere oltre oceano?
«Domenico era un ragazzo che voleva andare oltre oceano, anche se legato alla terra natia come lo sono oggi. Barletta, Andria e Trani presentano tre caratteristiche differenti ma che si completano, come se fosse un'unica zona. Oggi forse un po' meno, ma all'epoca molti di noi volevano andare oltre oceano. Io però sono uno di quelli che l'ha fatto per davvero. Se ne parlava, ma pochi hanno avuto il coraggio di andare via avendo una situazione abbastanza "tranquilla". Sarei potuto rimanere qui e avrei avuto una vita interessante, anche se meno interessante di quella vissuta negli ultimi 25 anni. La mia è stata proprio una scelta atta a conoscere, sfidarmi e dirmi che il mondo non era solo Andria, la Puglia o l'Italia. C'era tanto altro e stava aspettando me»

Cosa apprezzano maggiormente del Made in Italy nel continente americano e cosa apprezza lei invece, che non vede altrove?
«Dopo tanti anni in giro per il mondo e poi in America, ciò che apprezzano all'estero è il sogno del made in Italy. Facciamo della grande moda, un grande design, produciamo buon cibo, vantiamo un crescente turismo, ma è il sognare uno stile di vita diverso da quello che gli americani hanno, in un paese dove tutto è bello, che io apprezzo. Il made in Italy è andato oltre la qualità o l'artigianalità con cui facciamo le cose. È proprio l'idea di un posto in cui si vive bene e si cerca di mettere lo stile di vita prima del lavoro e del successo. Quando si parla di made in Italy si parla perciò di uno stile di vita più che di un prodotto o del modo in cui esso è fatto. Questo manca altrove»

Quanta Puglia c'è nelle sue creazioni e come ha saputo coniugare la tradizione delle terre del Tavoliere con il gusto americano e non solo?
«Ritengo che i pugliesi siano passionali e appassionati ed è una cosa che abbiamo dentro più di chiunque in Italia. Siamo solari, aperti, amiamo viaggiare, siamo gentil uomini e gentil donne. Il pugliese è sofisticato, elegante, ha un senso estetico, ha tutti questi elementi nel proprio dna. Anch'io li ho geneticamente in me quindi è stato semplice far emergere tutto ciò nelle mie collezioni. C'è tanto dei colori della Puglia, del mare, del sole. C'è l'eleganza della Puglia, la combinazione dei colori e dei capi che qui è innata. Le mie collezioni sono in un certo senso "culturali", vanno comprese. Il dna del brand è far sì che il cliente arrivi a noi. Non si tratta di una forma snobbistica, Domenico Vacca si scopre, è un punto di arrivo»

In un'intervista da lei rilasciata ha affermato che con la stampa sia possibile educare l'imprenditoria. In che modo lo fa lei personalmente?
«Molte interviste rilasciate nel settore della moda sono molto light, si parla spesso del colore di un capo o di cosa vada. La moda non deve fare uno stateman, non deve fare un'affermazione e non deve prendere posizione in genere. In un'intervista ho la possibilità di spiegare cosa faccio e perché. Il mio consiglio è di non correre dietro i loghi perché il rischio è quello di acquisire la personalità di un brand o uno stilista che nemmeno si conoscono. Vorrei andare in maggiore profondità. Parlare con un giornalista è avere la possibilità di far riflettere e lanciare un messaggio. Con i social si ha un feedback quasi immediato ed è capitato che chi ha letto qualche mia intervista mi abbia contattato, riscontrando qualcosa a cui non aveva pensato prima. Mi interessa aprire un dialogo con chi si avvicina al mio brand»

Manca secondo lei qualcosa all'imprenditoria italiana e pugliese nello specifico?
«Ciò che riscontro nell'economia italiana e pugliese è che molti imprenditori sono legati al pubblico, alla burocrazia, alla regione, alla provincia, al comune. Il privato vorrebbe essere sostenuto dal pubblico ma questo a sua volta a causa di leggi, concorsi e bandi fa perdere troppo tempo. C'è un dialogo che non va da nessuna parte in questo modo e si rischia solo di rallentare i progetti. Nel mio palazzo sono venuti a trovarmi grandissimi attori di Hollywood, businessman americani, il principe del Bahrein ma nessuno dall'Istituto del commercio estero che è una presenza importante a New York. Il privato dovrebbe staccarsi dal pubblico andando avanti con le proprie forze, anche facendo rete con altri imprenditori. Il momento della Puglia è adesso, è questo il momento di essere sui mercati internazionali con l'agroalimentare, il vino, il turismo, la moda e il design. Dieci anni fa nessuno sapeva cosa fosse la Puglia, oggi se dicessi Puglia mi risponderebbero "Oh, yes I Know" quindi è il momento di spingere. Vero, c'è stato uno sviluppo a macchia di leopardo a partire dal Salento ma il compito dell'imprenditore è di riunire queste chiazze nella sua interezza»

Qual è la sua giornata tipo?
«La mia giornata tipo è a New York. Sveglia alle 07:00, controllo le email, bevo il mio caffè italiano e faccio un po' di sport. Poi mi butto nella giungla newyorkese dirigendomi nel mio palazzo dove sono i vari uffici. Lì presenzio una serie di meetings con i responsabili dei vari settori (dalla comunicazione, alle pubbliche relazioni alla parte design-stilistica). Proseguo con il giro per vedere che tutto sia apposto, perché sono un maniaco della perfezione. La sera a New York ci sono tanti eventi, dalla prima di un film alla cena con dei clienti importanti o dei giornalisti. Cerco di godermi la città insomma»

Si può dire che abbia vissuto appieno la propria vita professionale dall'avvocatura all'imprenditoria. Ma qual è il suo ricordo più bello?
«Fortunatamente i ricordi belli sono tanti e moltissimi legati ai miei genitori vissuti tra Andria, Trani e dintorni. Non ho ancora la "famiglia tradizionale pugliese" quindi i ricordi della mia famiglia sono vivissimi. Dal punto di vista professionale ricordo con gioia il conseguimento del master in diritto americano alla New York University. In quel momento l'America è diventata reale. Ricordo meraviglioso è stato l'apertura del mio negozio a New York sulla 5th Avenue sedici anni fa davanti al Plaza Hotel in pieno centro»

Come ci si arriva a tanto successo?
«Essendo un pazzo - scherza - ci vuole coraggio, preparazione e capacità di calcolo dei rischi. Occorre che vi siano tutte e tre le componenti per il raggiungimento del successo. In mancanza anche solo di una di esse, si rimane al punto di partenza. Ho fatto tutto con le mie forze ma ho sempre avuto una vision»

Progetti per il futuro?
«Moltissimi sono i progetti ma l'idea è di sviluppare ciò che ho fatto a New York in altre realtà. Quando ho iniziato il concetto è stato quello di portare il vero look italiano in giro per il mondo. C'erano altri brand italiani di lusso che vendevano per mezzo dei grandi magazzini. Spesso arrivati lì però sono stati costretti a cambiare la qualità dei tessuti per raggiungere il numero più alto possibile di consumatori. Ho sempre creduto che gli americani fossero pronti per la vera vestibilità italiana. Mi dicevano che fossi pazzo ma i tempi erano maturi e mi hanno dato ragione. La sfida successiva è sull'esperienza. Tutti oggi possono acquistare online e anche noi abbiamo una presenza online, perché non si può certamente andare contro le tendenze d'acquisto contemporanee. Personalmente però sono un romantico dunque ho bisogno di provare e sentire un capo addosso. Per continuare nell'education del consumatore sul prodotto made in Italy ho dato vita ad una serie di esperienze: dal bar, al barbiere, alla galleria d'arte, al negozio»
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