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Cronaca

Charlie Hebdo non è troppo lontano dalle nostre idee

Il terrorismo attacca il cuore del pensiero libero

Stiamo cercando tutti di trovare una "quadra" emotiva a quel che è successo. Non vorrei nemmeno sprecare troppo tempo nel cercare di riepilogare quanto è accaduto a Parigi, bensì ritengo doveroso dire qualcosa dopo il vergognoso attacco alla sede di un settimanale (e non specifico satirico perché non servono etichette che diventano giustificazioni). Qual è il pensiero dominante? Pubblichiamo qualcosa che possa essere solidale con quanto di gravissimo è avvenuto ieri. Davvero no, non c'è alcun bisogno di aggiungere una voce al coro. Dovremmo pubblicare qualcosa di semplice, con una vignetta magari, in cui immagino un consesso di dei che rivolgendosi al Profeta gli dicano "hai esagerato".

Cerchiamo invece di andare dritti al dunque: un gruppo di uomini, due, ha malinteso il senso della propria vita, di cui la religione è espressione. Quella stessa vita che per alcuni è dono, per altri è merce di scambio o soldo di vendetta. E' comunque un errore a cui solo la storia potrà dar rimedio (o eterno demerito).

A noi giornalisti cosa rimane? Ieri si poteva ironizzare sull'ISIS con delle vignette, domani sai che se lo fai rischi. E' la consapevolezza che esiste ormai un senso di autocensura: non si può essere liberi di immaginare, di far correre la fantasia, di ironizzare (è solo un altro modo di dir la propria, talmente sferzante da armare uomini, sembra). Potresti pagare uno slancio creativo con la tua vita.

Allora auguro ai vignettisti di poter continuare a disegnare in un mondo migliore di questa palla di fango. Qui sulla nostra vecchia Terra c'è gente che continua a fare errori, giocando a dadi e kalashnikov con la vita degli altri, come non dovrebbe essere permesso nemmeno a Dio di farlo.

E dei fondamentalisti cosa penso? Che non esistono. Esistono solo idee, molto forti e in grado di cambiare la vita. Ma non dovrebbero mai essere così forti da toglierla.
Disegno in icona per gentile concessione de The New Yorker
  • Nota del Direttore
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