Dottor Giuseppe Falconetti
Dottor Giuseppe Falconetti
La città

12 settembre 1943 - 2013: il ricordo di Giuseppe Falconetti

Intervista al figlio del vigile Antonio Falconetti, una delle vittime dell’eccidio. «Quando mio padre morì, decisi di continuare gli studi, come lui avrebbe voluto»

70 anni fa, la strage del 12 settembre 1943, in cui furono trucidati dai soldati tedeschi i vigili Antonio Falconetti, Pasquale Del Re, Luigi Gallo, Vincenzo Paolillo, Gioacchino Torre (assunto quaranta giorni prima), Pasquale Guaglione, Michele Spera, Francesco Gazia, Sabino Monteverde, Michele Forte e Francesco Paolo Falconetti (l'unico sopravvissuto), e i netturbini Luigi Jurillo e Nicola Cassatella. Uno dei primi episodi di massacri di innocenti italiani, compiuti dalle truppe naziste, all'indomani dell'8 settembre, nonché una delle pagine di storia che aprono il periodo della Resistenza italiana.

Ricordiamo oggi quel tragico evento per la nostra città, con le parole del dott. Giuseppe Falconetti, figlio di uno dei vigili uccisi, Antonio Falconetti. Più di un'intervista, la testimonianza di uomo, allora bambino di 9 anni. «Mio padre aveva cercato inutilmente di convincere l'ufficiale tedesco che doveva dare l'ordine di mitragliare a desistere da quell'azione - comincia così il suo racconto - Mio padre portava ancora la fascia nera, del lutto per la morte del figlio - fratello maggiore del dott. Falconetti - Fece vedere la foto del figlio morto in guerra, e del gruppo di famiglia. Ci fu il vigile Gallo, che cercò anche lui di convincere l'ufficiale. Quando i sodati spararono, la prima raffica fu a livello del torace. Quando arrivarono le altre raffiche (alle gambe e alla testa), il vigile Francesco Paolo Falconetti, che si trovava in terza-quarta posizione (il primo era mio padre, vicino al canale di scolo), fu coperto dai corpi degli altri, per cui, riuscì a salvarsi, perché si finse morto. Quando i tedeschi cominciarono infatti a dare i calci per vedere chi era ancora in vita, lui non reagì e riuscì a fingersi morto, e così si salvò».

Dott. Falconetti, chi era suo padre?
«Mio padre era un vigile urbano, in servizio da diversi anni. In precedenza, era stato carabiniere. Allora c'era l'obbligo per i carabinieri di restare scapoli fino a 27-28 anni. Mio padre quindi si tirò fuori, per sposarsi. Pur essendo morto all'età di 45 anni, aveva avuto 8 figli. Si era sposato a 24 anni. Mia madre era più piccola di 5 anni, e quando mio padre è rimasto ucciso, è rimasta vedova a 40 anni, mentre io avevo quasi 9 anni (sono nato a novembre). Mio padre era addetto all'ufficio informazioni».

Qual è il suo ricordo di quei giorni di settembre, culminati nella strage del 12?
«Stavo sempre con mio padre. Voleva che continuassi a studiare, e mi incentivava sempre in questo. Quando tornava dal lavoro, andava ad intrattenersi presso il dopolavoro degli impiegati comunali, che era dove oggi è il Comune, anche per completare il suo lavoro. Mentre lui scriveva le relazioni, io facevo i compiti. Quando andava in giro, mi portava con lui, sul telaio della bicicletta. Ho un ricordo vivo di mio padre. Quando è morto, mi sono sentito investito di una responsabilità, perché lui voleva che io studiassi, e decisi che avrei continuato a studiare per realizzarmi in campo professionale. Allora era raro che qualcuno si laureasse. Mio fratello grande, di 17 anni, era iscritto alla ragioneria, ma fu costretto dalle circostanze ad interrompere gli studi, e fu assunto con delibera trimestrale, per il fatto che mio padre era dipendente comunale».

«Prima dell'8 settembre, per un mese, tutta la famiglia Falconetti si era trasferita alla masseria Antenisi. Lì c'era una postazione militare. Mio zio Pietro, che era stato soldato, fu richiamato dall'esercito, ma non lui: il suo mulo. Era addetto al servizio militare per il trasporto dei viveri da Barletta all'Antenisi. Noi stavamo lì per sicurezza, perché si prevedevano bombardamenti. Mio padre, dopo il lavoro, veniva a trovarci lì in bicicletta. L'8 settembre, mio padre decise di riportare la famiglia Barletta. Solo che l'8 settembre non fu la fine della guerra, ma l'inizio di un'altra guerra, cioè la guerra civile. Il mattino del 12, noi piccoli eravamo tutti a dormire. Non ci accorgemmo quindi di niente. La cosa venne a sapersi dopo le 11, anche perché dopo l'eccidio, non facevano avvicinare nessuno, anche perché le postazioni tedesche restavano nei paraggi. Il colonnello Grasso si era arreso, perché i nostri militari non erano sufficientemente armati, e per evitare ulteriori danni alla città. Noi vedevamo sfilare i militari lungo le strade, perché li radunavano in via Imbriani, per poi portarli verso via Foggia, e caricarli su camion per portarli nei campi di concentramento. Mi ricordo, siccome non si poteva uscire di casa, le porte e le persiane erano chiuse, che ogni tanto si aprivano i portoni per sbirciare fuori, e ho visto passare tutti i soldati (abitavamo in vico del Lupo), e riconobbi il maresciallo dei vigili urbani, Capuano, che passava con un cartoccio di uva, ed era uno degli ultimi di una lunga fila di prigionieri. Capuano infatti raccontò poi di essere arrivato vicino al cimitero, dove si fermarono e dove qualcuno riuscì a fuggire, e lui tra questi, dopo essersi liberato della divisa di vigile, per non essere scambiato per soldato. Fu aiutato da alcune contadine, che aiutarono alcuni a fuggire».

«Quando arrivò la notizia, chi corse a piazza Caduti, fu proprio mio fratello grande Ruggiero, che aveva quasi 17 anni, che poi venne a riferire a casa. A noi tutti ci fu concesso di andarlo a trovare, quando avevano già trasferito i corpi all'ospedale. Andammo io e mia sorella piccola, i corpi erano messi lì, uno accanto all'altro, in condizioni non commentabili».
Intervista al dott. Falconetti
Cosa devono significare questi 70 anni, per la nostra città, e per le giovani generazioni?
«Si sprecano parole, si dicono tutti gli anni le stesse cose, ma purtroppo è nella natura umana, il fare guerre. Non esiste zona del mondo in cui non ci siano focolai di guerra. E adesso vogliamo accenderne anche un altro? - il riferimento è al possibile attacco americano alla Siria - Nonostante gli appelli del Papa, tutto cadrà se si deciderà di intervenire. L'invito è a non fare guerre. Ma come si fa? Purtroppo sono appelli inutili, perché l'umanità è quella che è, è prevalentemente cattiva. Si cerca di far leva sui più giovani, perché facciano tesoro di quello che è accaduto, ma poi quando si diventa grandi.. Vediamo i politici: presi singolarmente sono delle brave persone, insieme fanno branco, diventano cattivi, aggressivi, arrivisti, disonesti. L'imperativo categorico di mio padre, che diceva ai suoi figli era: "Se vi mettete in politica, vi spezzo le gambe". Era un vigile urbano, che era costretto a portare nel taschino la tessera del partito fascista, perché allora, per avere il posto di lavoro, dovevi essere iscritto al partito fascista».

Quali sono le sue impressioni, dopo essere stato ricevuto dal presidente della Repubblica al Quirinale?
«Il presidente ci ha sorpreso, con la sua esperienza e saggezza. Ha entusiasmato tutti quanti. Siamo rimasti tutti contenti. E' stata una bellissima esperienza per noi».
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