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La realtà dei quartieri poveri brasiliani in una lettera di padre Saverio Paolillo

Il racconto del missionario barlettano che da anni combatte la malavita in Sud America

«Carissimi,

ho fatto fatica a mettermi a scrivere. Preso da tanti impegni, ma, soprattutto afflitto da tante tragedie, non avevo proprio voglia di redigere questa lettera.

Le ultime settimane non sono state facili. Un'onda di violenza si è abbattuta sul nostro quartiere. Il 17 ottobre, proprio mentre stavo imbarcando sull'aereo per recarmi a Carapina nello Spirito Santo - per unirmi alle celebrazioni del XX anniversario della Rete Aica - ho ricevuto sul telefonino la foto del corpo di Yudi, riverso sull'asfalto, assassinato a soli 16 anni, in pieno giorno, mentre si apprestava a entrare a scuola. Una tragedia annunciata. Mentre fratello Francesco mi portava all'aeroporto, gli avevo condiviso la mia preoccupazione per la vita di Yudi, ma tutti gli sforzi che avevo intrapreso per mediare il conflitto in cui si era coinvolto alcuni giorni prima, non avevano avuto successo. Purtroppo ancora una volta ha prevalso la logica della violenza.
Rientrato dallo Spirito Santo, ho celebrato la messa in suo suffragio. Ne ho approfittato per fare un appello per la pace. Ma, a distanza di un mese, il 15 novembre è scomparso Rivaldo, anche lui di 16 anni. Da quel giorno non abbiamo più sue notizie. Lo abbiamo cercato dapperttutto. Ci siamo inoltrati nei boschi che circondano il quartiere seguendo il volo degli avvoltoi. Sono stati momenti deprimenti. Anche se non perdiamo la speranza di ritrovarlo vivo, siamo quasi certi che sia stato assassinato e il suo corpo sepolto da qualche parte.

Il 18 novembre è stata la volta di João Pedro, un ragazzino di 12 anni che non faceva parte del Progetto, ma che avevo incontrato in un centro per minori. Sembrava un bambino. È stato un duro colpo quando ho ricevuto la foto del suo corpo senza vita. Non abbiamo fatto in tempo a inserirlo in un programma di recupero. La malavita è arrivata prima. Nello stesso giorno, in un'officina meccanica è stato ucciso anche Tiago, un giovane di 22 anni che avevo conosciuto in carcere. Il nostro Centro di Difesa dei Diritti Umani da anni segue la madre che soffre per il coinvolgimento dei figli nella malavita. Come non bastasse, il 22 novembre è scomparso suo fratello Gabriel di 15 anni. Anche in questo caso le ricerche sono state inutili.
Scusate se vi affliggo con queste notizie. Il racconto è uno sfogo e una forma per condividere la sofferenza. Stiamo arrivando alla fine dell'anno con il fiatone ma non sono mancati i momenti belli. Come vi ho accennato, sono stato a Carapina per celebrare i XX anni della Rete AICA. È bello vedere che l'opera continui a pieno vapore. In tutti questi anni migliaia di bambini, adolescenti e giovani hanno incontrato nei progetti della Rete Aica laboratori di formazione umana che hanno permesso loro di plasmare la propria vita secondo i valori del Vangelo e di costruire una storia nuova. Tra le varie cerimonie, c'è stata l'inaugurazione di un nuovo progetto chiamato Kairós, parola biblica che significa "momento opportuno". Il progetto è destinato ad accogliere, durante il tempo libero dalla scuola, oltre un centinaio di bambini di un quartiere di case popolari costruito recentemente, ma già controllato dalla malavita. Come diceva San Daniele Comboni «le opere di Dio nascono ai piedi della Croce».

La Rete Aica è nata ai piedi della croce per tre motivi. È sorta ai piedi delle croci della violenza, dell'abuso e sfruttamento sessuale, del lavoro minorile, della miseria, dell'abbandono e della negligenza, croci a cui sono appesi migliaia di bambini e adolescenti. La Rete Aica è nata ai piedi di questi crocifissi con l'unica missione di schiodarli da queste atroci sofferenze e restituirli a una vita degna.

La Rete Aica è nata ai piedi della Croce perché ha trovato la sua ispirazione nel cuore trafitto di Gesù che si è consegnato fino all'ultima goccia di sangue per la nostra salvezza. La Rete Aica ha fatto sua l'immagine del Buon Pastore, del Samaritano, del Padre che aspetta con ansia il ritorno del figlio prodigo, del Seminatore che semina con speranza o dell'agricoltore fiducioso che non strappa la zizzania perché ha una fede incrollabile nella sua trasformazione in grano.

Infine, la Rete Aica è nata ai piedi della Croce perché sulla sua strada ha incontrato sfide, incomprensioni, frustrazioni e, soprattutto persecuzioni. Grazie a tutti coloro che, come Simone di Cirene, ci hanno aiutato a portare la Croce e, soprattutto ci hanno permesso di accogliere e servire con amore tante persone.

Anche a Santa Rita, il Progetto "Legal" procede bene. Sono contento dei progressi dei ragazzi e ragazze. Il 24 novembre abbiamo realizzato uno spettacolo dove tutti hanno avuto la possibilità di mostrare i propri talenti. Nonostante il clima di lutto, abbiamo mantenuto l'appuntamento per irradiare speranza e vita in questo contesto di dolore e morte. Mi rincuora l'impegno di Daniele, la cui storia molti di voi hanno conosciuto dal documentario che ho presentato recentemente. È un esempio di resilienza. Ce la sta mettendo tutta per realizzare il suo sogno di frequentare l'Università e di garantire migliori condizioni di vita alla sua famiglia che attualmente vive della raccolta di materiali riciclabili. La sua storia è uno stimolo per gli altri.
Stanco e afflitto dall'ansia di trovare Rivaldo e Gabriel, non mi è stato facile trovare l'ispirazione per il consueto messaggio di Natale pur avendo allestito da tempo il presepe. Nel centro della grotta i ragazzi hanno scritto questa frase: "Dio si è fatto bambino come io". Non spaventatevi. Ho tradotto letteralmente. Intorno al piccolo e profondo testo hanno incollato tante stelle. In ogni stella hanno messo la loro fotografia, per cui le stelle non brillano con la luce artificiale delle lampadine, ma per il sorriso di ogni bambino. Chi si avvicina alla grotta ne resta contagiato e sbozza il suo proprio sorriso.

Nella mia preghiera personale una frase del Vangelo di Matteo ha improvvisamente catturato la mia attenzione. Sembra scritta apposta per me. Dio stesso è passato per la stessa situazione che io sto vivendo. Non solo il mio Natale rischia di essere rovinato dalla violenza, anche il Suo Natale è oltraggiato dalla crudeltà di Erode al punto tale che è costretto a scappare in piena notte. Mi immergo in questa pagina del Vangelo per trovare forza e ispirazione per rinnovare il mio impegno missionario.

«Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode...» (Mt 1,14-15).

Che brutta sensazione. La poesia del Natale dura poco. Le luci si spengono all'improvviso. Già non si odono più i canti di gioia. I pastori chiamati per primi a testimoniare l'incarnazione di Dio nel bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia sono tornati alle loro occupazioni. Anche i Magi venuti da lontano sono rientrati a casa. È notte fonda. Maria, Giuseppe e il Bambino ne approfittano per riposare. Ma nell'aria si respira una brutta atmosfera. C'è ancora lui, il guastafeste di turno impegnato a rovinare tutto. Erode è furioso. Si sente minacciato dal Bambino nato a Betlemme perché il suo potere assoluto è in pericolo. Decide di fare una strage di neonati per farlo fuori. Che cosa strana. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Dio è in pericolo ed è costretto a scappare in piena notte. Sembra indietreggiare di fronte alla cattiveria di Erode, venuto al mondo per salvare è costretto a fuggire per mettersi in salvo.
Quest'anno voglio contemplare la festa del Natale proprio da questo punto di vista. La fuga di Dio in Egitto in piena notte funziona come un filtro che preserva il mistero dell'incarnazione da fronzoli che stuzzicano l'emozione, ma non provocano conversione.

Prima di tutto c'è un sogno. Un angelo appare a Giuseppe per avvertirlo del diabolico piano di Erode disposto ad uccidere Dio a qualunque costo. Solo chi sogna con Dio non chiude gli occhi di fronte al dolore degli innocenti, ne identifica i responsabili, lotta con tutte le forze per mettere a salvo le vittime e debellare il male dal mondo.

La notizia dell'angelo è sconvolgente, ma ancor più travolgente è il compito a cui Giuseppe è chiamato. A prendersi cura di Dio non sarà un esercito di angeli, ma proprio lui, l´uomo che non spiccica una parola e sembra essere rimorchiato in tutta questa storia. Sarà proprio lui ad assumere la responsabilità per le sorti di Dio.

Giuseppe avrebbe potuto girarsi dall'altra parte e continuare a dormire come fanno in tanti. Come si fa a restare tranquillamente a letto con tante urla di dolore che si elevano dalle strade affollate da senza tetto o dai barconi strapieni di migranti, dalle baraccopoli o dai campi profughi, dalle zone di guerra o dai bersagli colpiti dal terrorismo? A che livello di disumanizzazione è arrivato il cuore che è insensibile al dolore di un bambino? Mentre i "buoni" dormono, Erode è sveglio, immerso nei suoi perversi pensieri e indaffarato con i suoi piani diabolici.

Ma Giuseppe non ci pensa due volte. Si desta immediatamente e, dopo aver preso con sé Maria e il Bambino, si mette in cammino. Quali sono le garanzie di farcela? Nessuna. Parte senza una meta certa. Non ha una rotta e un indirizzo sicuri. Non possiede mezzi sufficienti per far fronte al potere economico, bellico e propagandistico di Erode. Non sa neanche quando potrà tornare. Si mette in marcia fidandosi ancora una volta soltanto di un sogno, lo stesso di Dio incarnato in un fragile bambino.

Che cosa incredibile. Prima ancora di salvare, Dio è posto in salvo da Giuseppe. Ecco la prima lezione del Natale che si rivela nella notte oscura. Dio può nascere e sopravvivere nella storia umana soltanto se incontra qualcuno disposto ad accoglierlo e a prendersi cura di Lui, pronto a correre rischi per salvare la vita degli altri. Non è a caso che si è fatto carne nella fragilità di un bambino povero in un contesto di estrema periferia. Le Sue sorti e quelle dei poveri con cui ci tiene a identificarsi sono in mani umane, semplici, aperte, disarmate, appartenenti a persone che, dotate di amore straordinariamente generoso, aprono la propria vita e la mettono a disposizione di chi ha bisogno di protezione. Le Sue sorti e quelle dei piccoli appartengono a sognatori che, come Giuseppe, non desistono mai dal sogno di vedere il mondo sottratto dagli artigli di Erode e ricollocato nelle mani materne e paterne di Dio.

Tutto avviene di notte. Neanche Dio è risparmiato dalla dura esperienza della notte. Non nascondo certa delusione. Natale è festa della luce. A fuggire definitivamente dovrebbero le tenebre. Mi sarei aspettato l'aurora di un giorno senza più notte. Ma non è così. La notte continua ad esserci perché Erode c'è ancora. Attenzione, quindi, alle illusioni ottiche. L'eccessiva luminosità artificiale invece di schiarire la vista l'abbagliano. È questo il piano di Erode: camuffare la realtà e intorpidire le coscienze. Il Natale non porta con sé l'immunità contro la notte, ma la certezza della luce nella notte.

«Dio non protegge dal deserto, ma dà forza nel deserto. Non salva dalla notte, ma nella notte» (Ermes Ronchi). È nelle tenebre della notte che il popolo intravede la luce. Pertanto, chi si affida a Dio e entra in sintonia con il Suo sogno non si aspetti la garanzia contro i momenti oscuri della vita, ma la certezza di poter contare con la Sua luce nel buio pesto. Giuseppe avrebbe potuto aspettare l´alba. Con la luce del sole le cose sarebbero state molto più facili. Ma parte subito, anche se non gli è tutto chiaro.

«Ha tanta luce quanto gli basta a fare il primo passo. Possiede tanta forza quanta gliene serve alla prima notte. A Giuseppe basta un Dio che intreccia il Suo respiro con quello dei tre fuggiaschi per sapere che la strada va verso casa anche se passa per il lontano Egitto. A lui basta sapere che c'è un filo rosso della storia che è saldo nelle mani di Dio. Giuseppe rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne, che prendendo su di sé vite d'altri, si fidano dell'amore e lo vivono senza contare paure e fatiche e sanno che il loro compito supremo nel mondo è custodire delle vite con la propria vita. E così fanno, concreti e insieme sognatori, inermi eppure più forti di ogni faraone». (Ermes Ronchi).

Giuseppe, per grazia divina, è la fonte di ispirazione del mio Natale. Sul suo esempio, sono chiamato e destarmi dal mio torpore, dallo stordimento causato dagli ultimi avvenimenti e fidarmi di Dio e del Suo sogno. La mia vita, come quella di Giuseppe, è a disposizione per mettere in salvo la vita di Dio che soffre nella carne dei bambini e adolescenti che sono chiamato a servire. Erode è forte, ma possiamo sconfiggerlo se insieme perseguiamo la realizzazione del sogno di Dio.

Conto, come sempre, con le vostre preghiere e la vostra solidarietà.
Dio dica bene di tutti noi...

San Giuseppe prenditi cura dei nostri bambini e mantieni loro lontani dalle grinfie di Erode».

P. Saverio Paolillo
Missionario Comboniano
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