Mario Rosini
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Il jazz e la musica secondo Mario Rosini

Il cantante di Gioia del Colle intervistato in esclusiva da Barlettalife

C'è anche spazio per il jazz durante la stagione concertistica del Teatro Curci. Sabato scorso il pubblico barlettano ha potuto assistere a Loving Duets, progetto che ha stupito per semplicità ed improvvisazione. Uno degli interpreti di Loving Duets è un pugliese con il jazz nel dna: si tratta di Mario Rosini, conosciuto dal grande pubblico per il suo secondo posto al Festival di Sanremo del 2004 dietro a Marco Masini. Il suo brano "Sei la vita mia" ha riscosso grande successo, e fu utilizzato come base anche da Checco Zalone per un suo sketch comico dedicato alla polizia. In questi dieci anni, Mario Rosini ha continuato a vivere di musica, collaborando con tanti artisti di fama mondiale, da Gino Vannelli a Pino Daniele, senza dimenticare Rossana Casale. A Barletta, Mario Rosini propone Loving Duets, ed è l'occasione per un'intervista a tutto tondo sulla sua esperienza artistica, sul futuro e sull'attuale situazione del "carrozzone" musicale:

Mario, Loving duets, un progetto innovativo, sei voci e 3 "piani" all'insegna dell'improvvisazione. È un modo per fare uscire il jazz da quella nicchia a cui continua ad essere dedicato?
«Infatti, bisogna sfatare questa cosa: il jazz non è una musica per eletti. Forse è una musica meno standard, se vogliamo, ma comunque appetibile per tutti, perché sono canzoni riportate all'inventiva del momento. Secondo me il jazz sta pian piano uscendo dall'anonimato, anche con tutti i musicisti che stanno emergendo. Quest'anno a Sanremo so che ci sarà Gino Paoli con un pianista. Lo stesso Bollani sta portando il jazz al grande pubblico. Certo, il jazz non è una musica mediatica, perché è una questione di epoche. Negli anni '50 la Rai ospitava Duke Ellington ed Ella Fitzgerald che facevano Sentimental mood, per esempio. Ora la televisione funziona con lo share».

Il jazz è ormai la tua seconda pelle, a cosa devi questa tua passione per questo genere musicale che proviene dall'altra parte dell'Oceano?
«L'ho sempre avuta in realtà. Da piccolino avevo questo innamoramento naturale per questo genere. Soprattutto quando ascoltai per la prima volta Oscar Peterson, un pianista che purtroppo non c'è più. Lo ascoltai in onde AM, perché ancora non c'era l'FM, da una radio dell'Albania o della Jugoslavia. L'unica cosa che capii, dopo aver sentito questo pianista eccezionale, fu il suo nome, Oscar Peterson, e da allora è cominciato il mio amore».

L'esperienza di Sanremo è solo un lontano ricordo o una parentesi che ritorna ancora con piacere nella tua mente?
«È una parentesi bella, è un incidente di percorso (ride ndr), perché è successo una volta ma credo non accadrà mai più. Da allora noi abbiamo provato ogni anno a bussare a quella porta, ma non ci è stata più aperta. Anche quest'anno ci siamo proposti con Fabrizio Bosso. C'è qualcosa che non quadra. Volevamo proporre questi brani per tornare davanti al grande pubblico, ma così non è. Però quell'anno è stato bello, molto stressante. Non vedevo l'ora che finisse, c'era tanta tensione, tanti fattori che si accumulavano».

Ti chiedo una piccola "confessione". So che sei cresciuto con i tuoi fratelli a pane e cabaret, ma la citazione di "Sei la vita mia" di Checco Zalone ti fece piacere?
«Certo, mi ha divulgato quella canzone. Mi chiamò Luca (Medici, il vero nome di Checco Zalone, ndr) chiedendomi se poteva fare quella canzone. Gli dissi: "Devi". Siamo molto amici con Luca, stiamo spesso a cena insieme. È una brava persona, e poi è molto intelligente».

Per tanti anni hai collaborato con Rossana Casale. Che effetto fa lavorare a stretto contatto con una delle pietre miliari della musica e della produzione in Italia?
«Quando ho iniziato a lavorare con lei, diversi anni fa, ero molto emozionato, perché già allora lei era una grande artista. Da lei ho imparato l'arte del palcoscenico. È una grande artista, di grande cultura, con la quale ancora oggi collaboro. C'è grande stima per lei».

C'è qualcosa che non rifaresti nella tua lunga carriera artistica?
«Non lo so, dovrei pensarci bene, in questo momento non saprei dirti».

Non pubblichi album dal 2012: c'è qualcosa in cantiere o continuerai con gli spettacoli live?
«Ora ho in testa di fare un progetto dedicato alla musica cantata dell'epoca Bebop del jazz. Sto facendo gli arrangiamenti, spero che non mi passi la voglia (ride ndr), perché io son così. Ora sto lì».

In tempi di crisi anche per il grande "carrozzone" musicale, la prospettiva live è l'unica possibile per chi vuole divertirsi e divertire il proprio pubblico?
«Sicuramente, anche come divulgazione musicale. I dischi non si vendono, si va solo su Youtube o si compra da I-tunes. Però ritengo che sia sempre il live la carta vincente per la musica».

Loving duets è una serata organizzata con tanto orgoglio pugliese: a proposito di Puglia, come mai non ci sono tantissimi nomi di spicco?
«Secondo me non siamo poi messi male, penso a Caparezza, all'Amoroso o alla Marrone, ai Negramaro, che sono tra i numeri uno del mercato. Però, questo dobbiamo riconoscerlo, non siamo più nel periodo di personaggi come il nostro Modugno. Non è più periodo di quegli idoli, perché oggi vanno tutti alla Rai, vanno tutti in radio, non è più qualcosa di speciale, non si creano più i miti. Questo fa parte della nostra epoca, non so se è qualcosa di positivo o di negativo, ma senza dubbio nulla è più come prima».

Ed è per questo che sempre più artisti cercano di fare qualcosa di originale, magari esplorando nuovi campi come può essere il jazz?
«No, se ci riferiamo al jazz, è una necessità, non lo facciamo per distaccarci. A me piace anche molto la musica italiana, quella napoletana classica: l'anno scorso abbiamo fatto con la banda provinciale un tour con gli arrangiamenti di Vito Andrea Murra. Si fa jazz per necessità, perché è bella l'improvvisazione. Non lo etichetterei nemmeno, perché è musica libera, dove c'è dentro tutto, c'è la tecnica, c'è la passione, il cuore. Non si può fingere, sei tu e lo strumento».

Qual è la collaborazione artistica che ricordi con più piacere, che rifaresti anche domani se ce ne fosse la possibilità?
«Guarda, sicuramente con Gino Vannelli, un cantante americano (nonostante il nome). Un altro è Pino Daniele, sarebbe bello rifare qualcosa insieme a lui».

Come mai solo Bollani è stato l'unico a riuscire nell'impresa di proporre il jazz al grande pubblico?
«Bollani andava in onda tardissimo, per di più su Rai 3. Spero che, visti gli ascolti, questa sua esperienza duri ancora a lungo. Non vorrei che prima o poi venga oscurato come è accaduto a Doc, programma di Gegè Telesforo e Renzo Arbore. Spero possa prendere sempre più piede questa cosa, perché noi in Italia sappiamo fare musica, e questo è riconosciuto a livello mondiale. Bollani è la nostra punta di diamante, è un grandissimo».

Visto che sei anche uno stimato pianista, l'ultima domanda riguarda la contrapposizione tra Allevi e Bollani. Tu da che parte stai?
«Sono due mondi completamente diversi. A parte tutto il meccanismo di ufficio stampa che è davvero imponente, Allevi è un musicista bravo nelle sue cose. Forse semmai si è creata troppa importanza intorno al suo personaggio. Addirittura ogni giorno gli fanno dirigere l'Inno di Mameli in radio: calza poco. Ma sono due mondi diversi, non butto dalla torre Allevi, è un ragazzo che sa fare le sue cose, anche intelligente. Ma se dovessi scegliere, non avrei dubbi nell'indicare Bollani. Siccome siamo democrazia, ognuno è libero di fare quello che vuole e di seguire gli artisti che preferisce, ma io amo artisticamente Bollani: è irraggiungibile, per chiarezza di comunicazione, di suono, è veramente un grande».
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