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Il giorno della Memoria

Una riflessione di padre Saverio Paolillo. Celebrato il 27 gennaio, il giorno della Memoria

Carissimi Amici,

Il 27 gennaio in tutto il mondo si celebra il Giorno della Memoria – SHOAH. Sono giá passati 66 anni da quando il 27 gennaio del 1945 furono aperte le porte del Campo di Concentramento di Auschwitz. Di fronte a scene raccapriccianti, il mondo si rendeva conto delle barbaritá che l´ umanitá è capace di realizzare quando si abbandona alle grinfie del male. Milioni di Giudei, Zingari e Omosessuali furono massacrati dal delirio, il fanatismo, l´intolleranza e il mito della "razza superiore", ma soprattutto dalla crudeltá dell´uomo quando rinuncia alla sua umanitá. Trasportati come animali in treni merci e vagoni ermeticamente chiusi, le vittime viaggiavano per 15 giorni mescolati ai loro escrementi e ai cadaveri di quelli che non resistevano. Quando arrivavano a destinazione, 75% dei sopravissuti nudi e ridotti a squallore erano trasportati fino a delle camere a gas, che apparentemente sembravano docce, dove morivano in pochi minuti. Gli altri erano ammucchiati in capannoni dove, tra atroci torture, aspettavano il giorno della loro morte.

Una delle descrizioni piú commoventi di questa triste pagina della storia la troviamo nel racconto autobiografico che Elie Wiesel scrisse nel libro "La Notte". Tra i vari orrori descritti dall´autore, il piú angosciante è il racconto dell´impiccaggione di un bambino, mentre gli altri prigioneri erano costretti ad assistere. La morte fu atroce perché il suo piccolo peso finí per prolungare la sua agonia, costringendolo a una fine lenta e torturante per strangolamento:

I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.

Viva la libertà! gridarono i due adulti.

Il piccolo, lui, taceva.

Dov'è il Buon Dio? Dov'è? — domandò qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte. Silenzio assoluto. All'orizzonte il sole tramontava.

Scopritevi! — urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo.

Copritevi!

Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…

Più di mezz'ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.

Dietro di me udii il solito uomo domandare:

Dov'è dunque Dio?

E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:

Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…

Anche se il commento di Wiesel puó sembrare il grito di rivolta di chi rinuncia a credere in Dio di fronte al mistero del male e del dolore innocente, c'è nelle sue parole una manifestazione pubblica di fede perché, seppure indirettamente, riconosce la misteriosa solidarietá di Dio con tutti quelli che soffrono. Dio non fugge e non si nasconde. Non si barrica dietro i suoi attributi divini e non si trincera in una campana di vetro per preservarsi da ogni tipo di dolore. Lui soffre, è impotente di fronte al mistero della libertá dell´Uomo che, purtroppo, puó scegliere di vivere da non uomo e permettere al male di prendere possesso della sua vita trascinandola in um baratro spaventoso di atrocitá contro gli altri. Dio non si mette a salvo dalla sofferenza, ma soffre. Soffre non perché gli manca qualcosa, ma perché ama. Amor est passio, l'amore è anche sofferenza, scriveva un famoso autore cristiano dell´antichitá. Chi ama veramente soffre. Sente la mancanza dell´amato e soprattutto soffre quando l´amato deve affrontare la sofferenza. L'amore ci fa soffrire con quelli che soffrono, perché chi ama porta fin dentro di sé la realtá della persona amata rendendo l´amante capace di qualsiasi cosa pur di alleviare la sofferenza dell´amato. È per questo che Dio, essendo AMORE (gv 4,8), non puó essere in nessun altro posto se non appeso a quella forca con quel bambino, cosi come sta a lato di tutti quelli che sofrono, giammai come spettatore di uno spettacolo di gladiatori.

Ricordare l´Olocausto non è un semplice atto di nostalgia o una opportunitá per risuscitare i sensi di colpa e i desideri di vendetta. Non deve servire a incentivare vittimismi o alimentare odii e rivalitá tra i popoli. Il Giorno della Memoria serve come un forte richiamo a tutto ció che puó succedere quando il pregiudizio, l´odio, il razzismo, l´intolleranza trovano diritto di cittadinanza nella nostra societá e contaminano perfino le scelte di governo. Ricordare questo e altri crimini ocntro l´umanitá commessi lungo la storia diventa un esercizio etico quando ci aiuta a intensificare la nostra indignazione per le violazioni ai diritti umani e a rafforzare nostro impegno nella difesa e promozione della vita e della dignitá umana. Ricordare questo giorno è impegnarsi affinché ogni essere umano, indipendentemente dal colore della pelle, dalla razza, dall´orientamento sessuale, dall´etá, dalla religione, dalle scelte politiche, deve essere trattato con rispetto. Fare memoria di questo giorno, infine, significa assumere pubblicamente que il nostro posto è indubbiamente al lato delle vittime.

Approfitto dell´opportunitá per ringraziarvi tutti per l´accoglienza e la solidarietá che avete manifestato in occassione della mia permanenza in Italia.

Dio dica bene di tutti noi.

Padre Saverio Paolillo
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