
Calcio
Barletta-Benevento visto dalla curva: prospettive diverse di un’umiliazione cocente
Sei gol subiti al “Puttilli”, il punto più basso di una stagione da incubo
Barletta - martedì 1 aprile 2014
0.07
Un'umiliazione così mancava da quarant'anni, e di certo i tifosi biancorossi non si aspettavano una delusione del genere da una stagione come questa. L'annata era partita con proclami, conferme in pompa magna, campagne abbonamenti in grande stile, e si è conclusa con una serie di delusioni sempre più grandi. L'1-6 contro il Benevento ha fatto toccare il gradino più basso a questo Barletta. E non sono certo poche decine di tifosi ad additare la dirigenza, non sono certo sparute minoranze a criticare una squadra che in campo non ha né capo né coda. Sono davvero tanti gli appassionati biancorossi che hanno perso la fede, hanno riposto la speranza e hanno smesso di fare sacrifici.
Il messaggio della curva è chiaro, ed è tutto all'interno di una serie di cori eloquenti: "Barletta siamo noi" e "Voi non siete il Barletta Calcio" rappresentano lo specchio di un'annata disastrosa, che ha portato ai minimi termini il feeling tra il pubblico e la squadra. Dirigenza, staff tecnico e calciatori non onorano la maglia: è questo il pensiero del tifoso, di tutti coloro che non smettono mai di incitare i ragazzi in campo, ma che non meritano di assistere ad uno spettacolo simile. Soprattutto in casa, soprattutto dopo anni e anni di sacrifici. Parlare di questo Barletta è come sparare sulla Croce Rossa, ma i tifosi sono stanchi, abbattuti, demotivati. Tifare Barletta oggi significa sentirsi ripetere sempre le stesse cose. La considerazione del tifoso nei confronti del trio Martino-Tatò-Orlandi è davvero ai minimi termini. Una società dovrebbe quanto meno ascoltare la voce dei tifosi, perché sono loro il passato, il presente e il futuro del calcio, sono coloro che investono soldi, passione, intere giornate, sono coloro che "abbandonano lavoro e famiglia", che macinano chilometri per onorare una maglia. Barletta e i suoi tifosi vanno onorati, il messaggio è chiaro: il tifo è il valore aggiunto di una squadra, può essere il dodicesimo uomo in campo, deve essere il motivo per dare il 101% sul terreno di gioco, e non l'ostacolo da superare o da abbattere.
Nelle attività commerciali si dice che il cliente ha sempre ragione, nel calcio vale lo stesso: il tifoso ha (quasi) sempre ragione, almeno fin quando non si sfocia nella violenza. Ben vengano dunque i cori, le contestazioni civili, ma non bisogna sfidare la pazienza di chi alla maglia ci tiene, e lo dimostra giorno dopo giorno. Bisogna terminare al meglio questa stagione, bisogna farlo almeno per il pubblico, che non va in vacanza, per quel pubblico che incita sempre, che a fine incontro dimostra sempre di essere il valore aggiunto, di meritare quella fascia da capitano consegnata domenica da Di Bella. Un altro coro, già ascoltato altre volte, dice "Non ricordo più che sapore ha la felicità": sembra lontana anni luce quella salvezza del 2 giugno 2013, sembra lontano l'orgoglio, la passione è in cantina, il rispetto non è pervenuto. Siamo al countdown, siamo al -4, che sia l'alba di un nuovo giorno o l'inizio della fine poco importa. Dal 4 maggio il Barletta – probabilmente – non rivedrà più gli stessi interpreti: questo è il pensiero dei tifosi, questo è il grido che lancia tutto lo stadio "Puttilli".
Il messaggio della curva è chiaro, ed è tutto all'interno di una serie di cori eloquenti: "Barletta siamo noi" e "Voi non siete il Barletta Calcio" rappresentano lo specchio di un'annata disastrosa, che ha portato ai minimi termini il feeling tra il pubblico e la squadra. Dirigenza, staff tecnico e calciatori non onorano la maglia: è questo il pensiero del tifoso, di tutti coloro che non smettono mai di incitare i ragazzi in campo, ma che non meritano di assistere ad uno spettacolo simile. Soprattutto in casa, soprattutto dopo anni e anni di sacrifici. Parlare di questo Barletta è come sparare sulla Croce Rossa, ma i tifosi sono stanchi, abbattuti, demotivati. Tifare Barletta oggi significa sentirsi ripetere sempre le stesse cose. La considerazione del tifoso nei confronti del trio Martino-Tatò-Orlandi è davvero ai minimi termini. Una società dovrebbe quanto meno ascoltare la voce dei tifosi, perché sono loro il passato, il presente e il futuro del calcio, sono coloro che investono soldi, passione, intere giornate, sono coloro che "abbandonano lavoro e famiglia", che macinano chilometri per onorare una maglia. Barletta e i suoi tifosi vanno onorati, il messaggio è chiaro: il tifo è il valore aggiunto di una squadra, può essere il dodicesimo uomo in campo, deve essere il motivo per dare il 101% sul terreno di gioco, e non l'ostacolo da superare o da abbattere.
Nelle attività commerciali si dice che il cliente ha sempre ragione, nel calcio vale lo stesso: il tifoso ha (quasi) sempre ragione, almeno fin quando non si sfocia nella violenza. Ben vengano dunque i cori, le contestazioni civili, ma non bisogna sfidare la pazienza di chi alla maglia ci tiene, e lo dimostra giorno dopo giorno. Bisogna terminare al meglio questa stagione, bisogna farlo almeno per il pubblico, che non va in vacanza, per quel pubblico che incita sempre, che a fine incontro dimostra sempre di essere il valore aggiunto, di meritare quella fascia da capitano consegnata domenica da Di Bella. Un altro coro, già ascoltato altre volte, dice "Non ricordo più che sapore ha la felicità": sembra lontana anni luce quella salvezza del 2 giugno 2013, sembra lontano l'orgoglio, la passione è in cantina, il rispetto non è pervenuto. Siamo al countdown, siamo al -4, che sia l'alba di un nuovo giorno o l'inizio della fine poco importa. Dal 4 maggio il Barletta – probabilmente – non rivedrà più gli stessi interpreti: questo è il pensiero dei tifosi, questo è il grido che lancia tutto lo stadio "Puttilli".
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