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Calcio
Antonio Di Gennaro: "Barletta-Perugia, che bel ricordo di quell'1-1"
L'ex centrocampista della Nazionale, oggi opinionista Sky, intervistato da Barlettalife
Barletta - venerdì 1 novembre 2013
Dici Barletta-Perugia e a molti viene in mente quella partita giocata al "Cosimo Puttilli" il 31 maggio 1992, un pareggio per 1-1 che regalò la salvezza ai biancorossi e chiuse le porte della serie B agli ospiti umbri. A rimontare il centro iniziale del perugino Traini per il Barletta fu Antonio Di Gennaro, che in quella data realizzò l'ultima rete da professionista prima di dare l'addio al calcio giocato. Alla fine il Barletta arrivò quintultimo con 32 punti, mentre il Grifo chiuse terzo a quota 40. Nella sua carriera Verona, Fiorentina e Nazionale A. Ex calciatore dai piedi sopraffini, oggi opinionista televisivo per l'emittente televisiva Sky Sport, all'ombra di Eraclio collezionò 28 presenze e 3 reti, guidando da leader la squadra alla permanenza nella categoria: Di Gennaro è transitato anche da Perugia all'alba degli anni '80, e oggi gioca in anticipo per Barlettalife.it, tra ricordi e previsioni, la sfida di domenica prossima.
Antonio Di Gennaro, 21 anni fa andasti in rete al "Puttilli" pareggiando il centro di Traini e regalando la salvezza al club biancorosso. Che ricordi hai di quella partita?
"Più che della partita, ho un bellissimo ricordo dell'annata, con una squadra giovane guidata da Bianchetti, nella quale arrivai a stagione iniziata. Della sfida con il Perugia ricordo che noi arrivavamo da una beffarda sconfitta a San Benedetto: ci serviva un punto per salvarci, mentre il Perugia si giocava la B con l'Andria. C'erano tanti tifosi umbri allo stadio: ricordo che loro passarono in vantaggio con Traini, sugli effetti di un'azione dove presi un colpo sulla fronte da Agatino Cuttone, allora al Perugia. Andammo sotto e la botta presa mi condizionò per tutto il primo tempo. All'intervallo mi si era gonfiata tutta la zona circostante l'occhio, ma decisi di proseguire: al rientro in campo, dopo pochi minuti su cross da sinistra di Baroni arrivai a centro area e la buttai dentro. Fu la mia ultima partita, il mio ultimo gol in carriera: aver chiuso con un gol decisivo per la salvezza di una società dal passato così importante è stato motivo di gioia e soddisfazione per me".
Arrivavi in biancorosso dopo l'esperienza in serie A con il Bari. Come mai decise di chiudere a Barletta?
«E' una storia particolare. Stavo bene a Bari, e tra il marzo e il giugno del 1991 tanti dirigenti del club mi chiamavano per rassicurarmi sul mio contratto, che era in scadenza, perchè sarebbe stato rinnovato. Addirittura si pensava a un progetto per andare in Coppa Uefa, e ne ero contento anche perchè da poco era nato il mio secondo figlio e volevo restare in Puglia. Tra maggio e giugno, però, l'aria cambiò e la dirigenza barese non si fece più viva con me, come fatto in passato con altri miei colleghi. Mi fu anche impedito di svolgere la preparazione estiva con il club: insomma, non fui trattato molto bene. Così dal primo agosto, mi andai ad allenare con il dottor De Nicola, allora medico del Bari, oggi al Napoli, e mi preparai da solo. Nel frattempo era arrivata anche un'offerta per un biennale dal Perugia, che stava formando una squadra che mirava a vincere il campionato, ma non accettai. Il Barletta si fece vivo successivamente, attesero il 5 ottobre, data in cui ho compiuto 33 anni, per alcune agevolazioni economiche, per tesserarmi, se ben ricordo, pagando il mio cartellino 134 milioni delle vecchie lire».
Come fu accolto il tuo arrivo a Barletta?
«Inizialmente mister Bianchetti era dubbioso sul mio tesseramento: avevo un ingaggio più alto degli altri e arrivavo in una squadra giovane. Le riserve furono fugate dopo un doppio ko esterno contro Perugia e Catania: il presidente Di Cosola minacciò il licenziamento dell'allenatore, mentre io suggerii di ingaggiare un paio di calciatori esperti, così salvammo panchina di Bianchetti e categoria alla fine. Il mister non mi ha mai ringraziato allora, poi ci siamo reincontrati successivamente e ci abbiamo riso su».
Che differenze ci sono state tra le esperienze di Perugia e Barletta?
«A Perugia ci sono stato dieci anni prima, in serie A, e muovevo i miei primi passi: decisi di non tornarci solo perchè c'era in ballo Bari e avevo un figlio piccolo percui non volevo spostarmi, ma ho un ottimo ricordo dell'esperienza in Umbria, al di là della retrocessione finale. Del Barletta mi allettò l'offerta fattami dal presidente, e il progetto che mi vedeva come "chioccia" di tanti giovani».
Oggi invece il Barletta si trova nei bassifondi della classifica e con il presidente Tatò dimissionario a fine stagione. Segue ancora la realtà biancorossa?
«Apprendo ora delle dimissioni, mi spiace, so che il presidente ha investito tanto nel Barletta Calcio: due anni fa, con Castagnini ds, sapevo che la dirigenza aveva allestito una squadra dall'elevato potenziale, ma i playoff svanirono per quel punto di penalizzazione. La piazza di Barletta è importante, e vedere in B squadre come Carpi, Latina, Lanciano fa capire che potrebbe starci anche il Barletta. Mi piacerebbe parlare con il presidente Tatò, magari per dargli qualche consiglio, parlare con lui: spero che non lasci, la Puglia sta andando male sul piano calcistico e servono investimenti e passione per risalire».
Appunto, il calcio pugliese. Tante squadre in crisi societaria, come i recenti fallimenti di Taranto e Foggia hanno testimoniato, oltre alle situazioni non rosee di Bari, Barletta e Lecce. Cosa non sta funzionando e non ha funzionato?
«Credo sia mancata la passione di chi dirige, e di conseguenza anche di chi tifa. L'ho visto a Bari e Lecce, complici anche le brutte storie del calcioscommesse, che è stata una vera e propria sciagura per la nostra regione. Bisognerebbe tornare ad avere una certa etica e una certa morale per tornare a fare calcio in un certo modo, investendo sulle strutture e sul settore giovanile. Oggi ci sono poche capacità economiche e scarse possibilità di fare plusvalenze importanti, e spesso sento dire che la colpa è dei tifosi, il che mi fa un pò sorridere».
Antonio, siamo in chiusura. Come vuoi salutare Barletta e i cuori biancorossi?
«Ho un bel ricordo di Barletta, del tifo passionale che c'era in città, anche delle civili contestazioni dei tifosi. Faccio i miei migliori auguri ai tifosi e al Barletta, perchè possa tornare nel posto che le compete come società. Speriamo che si pongano basi solide e si possa arrivare ad importanti risultati. Saluto con affetto la città».
(Twitter: @GuerraLuca88)
Antonio Di Gennaro, 21 anni fa andasti in rete al "Puttilli" pareggiando il centro di Traini e regalando la salvezza al club biancorosso. Che ricordi hai di quella partita?
"Più che della partita, ho un bellissimo ricordo dell'annata, con una squadra giovane guidata da Bianchetti, nella quale arrivai a stagione iniziata. Della sfida con il Perugia ricordo che noi arrivavamo da una beffarda sconfitta a San Benedetto: ci serviva un punto per salvarci, mentre il Perugia si giocava la B con l'Andria. C'erano tanti tifosi umbri allo stadio: ricordo che loro passarono in vantaggio con Traini, sugli effetti di un'azione dove presi un colpo sulla fronte da Agatino Cuttone, allora al Perugia. Andammo sotto e la botta presa mi condizionò per tutto il primo tempo. All'intervallo mi si era gonfiata tutta la zona circostante l'occhio, ma decisi di proseguire: al rientro in campo, dopo pochi minuti su cross da sinistra di Baroni arrivai a centro area e la buttai dentro. Fu la mia ultima partita, il mio ultimo gol in carriera: aver chiuso con un gol decisivo per la salvezza di una società dal passato così importante è stato motivo di gioia e soddisfazione per me".
Arrivavi in biancorosso dopo l'esperienza in serie A con il Bari. Come mai decise di chiudere a Barletta?
«E' una storia particolare. Stavo bene a Bari, e tra il marzo e il giugno del 1991 tanti dirigenti del club mi chiamavano per rassicurarmi sul mio contratto, che era in scadenza, perchè sarebbe stato rinnovato. Addirittura si pensava a un progetto per andare in Coppa Uefa, e ne ero contento anche perchè da poco era nato il mio secondo figlio e volevo restare in Puglia. Tra maggio e giugno, però, l'aria cambiò e la dirigenza barese non si fece più viva con me, come fatto in passato con altri miei colleghi. Mi fu anche impedito di svolgere la preparazione estiva con il club: insomma, non fui trattato molto bene. Così dal primo agosto, mi andai ad allenare con il dottor De Nicola, allora medico del Bari, oggi al Napoli, e mi preparai da solo. Nel frattempo era arrivata anche un'offerta per un biennale dal Perugia, che stava formando una squadra che mirava a vincere il campionato, ma non accettai. Il Barletta si fece vivo successivamente, attesero il 5 ottobre, data in cui ho compiuto 33 anni, per alcune agevolazioni economiche, per tesserarmi, se ben ricordo, pagando il mio cartellino 134 milioni delle vecchie lire».
Come fu accolto il tuo arrivo a Barletta?
«Inizialmente mister Bianchetti era dubbioso sul mio tesseramento: avevo un ingaggio più alto degli altri e arrivavo in una squadra giovane. Le riserve furono fugate dopo un doppio ko esterno contro Perugia e Catania: il presidente Di Cosola minacciò il licenziamento dell'allenatore, mentre io suggerii di ingaggiare un paio di calciatori esperti, così salvammo panchina di Bianchetti e categoria alla fine. Il mister non mi ha mai ringraziato allora, poi ci siamo reincontrati successivamente e ci abbiamo riso su».
Che differenze ci sono state tra le esperienze di Perugia e Barletta?
«A Perugia ci sono stato dieci anni prima, in serie A, e muovevo i miei primi passi: decisi di non tornarci solo perchè c'era in ballo Bari e avevo un figlio piccolo percui non volevo spostarmi, ma ho un ottimo ricordo dell'esperienza in Umbria, al di là della retrocessione finale. Del Barletta mi allettò l'offerta fattami dal presidente, e il progetto che mi vedeva come "chioccia" di tanti giovani».
Oggi invece il Barletta si trova nei bassifondi della classifica e con il presidente Tatò dimissionario a fine stagione. Segue ancora la realtà biancorossa?
«Apprendo ora delle dimissioni, mi spiace, so che il presidente ha investito tanto nel Barletta Calcio: due anni fa, con Castagnini ds, sapevo che la dirigenza aveva allestito una squadra dall'elevato potenziale, ma i playoff svanirono per quel punto di penalizzazione. La piazza di Barletta è importante, e vedere in B squadre come Carpi, Latina, Lanciano fa capire che potrebbe starci anche il Barletta. Mi piacerebbe parlare con il presidente Tatò, magari per dargli qualche consiglio, parlare con lui: spero che non lasci, la Puglia sta andando male sul piano calcistico e servono investimenti e passione per risalire».
Appunto, il calcio pugliese. Tante squadre in crisi societaria, come i recenti fallimenti di Taranto e Foggia hanno testimoniato, oltre alle situazioni non rosee di Bari, Barletta e Lecce. Cosa non sta funzionando e non ha funzionato?
«Credo sia mancata la passione di chi dirige, e di conseguenza anche di chi tifa. L'ho visto a Bari e Lecce, complici anche le brutte storie del calcioscommesse, che è stata una vera e propria sciagura per la nostra regione. Bisognerebbe tornare ad avere una certa etica e una certa morale per tornare a fare calcio in un certo modo, investendo sulle strutture e sul settore giovanile. Oggi ci sono poche capacità economiche e scarse possibilità di fare plusvalenze importanti, e spesso sento dire che la colpa è dei tifosi, il che mi fa un pò sorridere».
Antonio, siamo in chiusura. Come vuoi salutare Barletta e i cuori biancorossi?
«Ho un bel ricordo di Barletta, del tifo passionale che c'era in città, anche delle civili contestazioni dei tifosi. Faccio i miei migliori auguri ai tifosi e al Barletta, perchè possa tornare nel posto che le compete come società. Speriamo che si pongano basi solide e si possa arrivare ad importanti risultati. Saluto con affetto la città».
(Twitter: @GuerraLuca88)
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