Moltiplicazione dei giornalisti, estinzione dei giornali

La buona scrittura non serve se è sola: questo sembra emergere dal confronto tra aspiranti operatori della comunicazione e giovani giornalisti, tenutosi ieri a Bari. Una riflessione sul passaggio evolutivo che stiamo affrontando, tra paranoie e fiducia. "In media we trust" ok, ma quanti danno fiducia ai media in termini di fruizione? L'ottimismo riposto nei media tradizionali e non è tutto per il fattore produttivo, perché si riconosce a loro il forte potenziale comunicativo (il 35% degli investitori ci crede). Per il fattore ricettivo invece? Da un sondaggio del CeSEM emerge che molte persone si sentono manipolate dalla TV, si sentono prese in giro dalla radio e deviate dalle burle social. Questo fa capire quanto la libertà di fare informazione, fornirla e cercarla (art. 21 della Costituzione) sia anche un limite all'autenticità della notizia, in quanto "siamo tutti potenziali giornalisti".

La figura del giornalista che si interfaccia col web ha un'identità tutt'altro che definita. Il rapporto redazionale, la scrittura creativa, lo spirito agile che si muove nel reale e che al contempo muove la realtà sono elementi in fase calante. L'apoteosi del virtuoso e virtuale mondo social porta con sé dei vizi non trascurabili. Il punto è che quello che è successo ieri in questo dibattito, per esistere per voi, deve passare prima nella mente di chi lo ha vissuto e di chi vuole che questo contenuto diventi condivisibile da voi utenti Internet, interessati all'argomento. La valanga multimediale che sta travolgendo il giornalista nella sua scalata professionale è proprio acqua ghiacciata e agghiacciante. Una forza buttata addosso a chi cerca, col massimo sforzo e il minimo incentivo, di portare sé al mondo e riportare il mondo in sé. Il giornalista, il cane da guardia della democrazia, ora deve abbaiare e far capire al Net che, oltre il recinto che esso vuole scavalcare, c'è una sentinella dotata di spirito e di contezza sociale. Perché quello che distingue l'animale dall'entità astratta non è la ragione ma la riflessività. A dispetto di questa differenza, gli analytics riportano una permanenza media su una testata giornalistica on line pari a tre minuti. Questo significa che, molto probabilmente, solo la metà di quelli che apriranno questo articolo arriveranno a leggere fino questo punto.

Ora tutte le vendite commerciali si misurano in reputazione on line; la pagina Facebook di un'azienda è più importante della sua immagine fisica; l'esistenza di un'impresa coincide con il suo sito Internet ed è così che non si può non parlare di press divide, dal momento che il digitale è la norma, la carta è lo scarto. Nostalgia, atavica rispettabilità e sensazione tattile possono ancora affascinare chi ha vissuto la fase di transizione; non esisteranno per chi è cresciuto con smartphones e tablet nello zainetto. I connessi supermobili (gli always on per più di 3 ore al giorno e in ogni luogo) sono il mainstream sociale, e i fruitori orizzontali crescono. Con questa sete di informazione rapita e veloce, cresce anche la doverosa duttilità del giornalista, la sua versatilità, ma anche la sua specializzazione settoriale, perché in un sistema in cui si sa tutto di tutti, non può esserci indulgenza per l'ignoranza in materia.

Al giornalismo si chiede tanta professionalità e attendibilità; al contempo però gli si chiede di considerare la vox populi, di essere più citizen e partecipativo. La società liquida di Bauman si sta solidificando in tante slavine travolgenti e coinvolgenti; l'accortezza umana non può lasciarsi schiacciare nella sua sensibilità. Salviamoci dall'automazione, incrementiamo i nostri strumenti senza assumere la loro materia metallica, pratichiamo la corsa ad ostacoli insieme al Web, senza lasciargli mai il testimone della staffetta.