Osservatorio Sergio Ramelli: «Sulla memoria non si tratta. La CGIL ha passato il limite»

La nota sulla questione intitolazioni

lunedì 29 dicembre 2025 17.11
«In questi giorni abbiamo assistito all'ennesimo tentativo di riscrivere la storia e sporcare la memoria di un ragazzo ucciso. La CGIL, con dichiarazioni ideologiche e irresponsabili, ha definito "inaccettabile" l'intitolazione di una scuola a Sergio Ramelli». Così l'osservatorio Sergio Ramelli.

«Noi diciamo una cosa chiara: questa è una vergogna civile, ed è un insulto alla verità e alla dignità di una vittima. Sergio Ramelli aveva 18 anni. Era uno studente. È stato massacrato a colpi di chiave inglese perché non la pensava come altri. Punto.

Chi oggi tenta di giustificare, minimizzare o politicizzare questo fatto compie una nuova violenza: trasforma una tragedia umana in terreno di propaganda.

La CGIL si riempie la bocca di "valori costituzionali". La realtà è che ne sta calpestando il primo: la dignità della persona. In una democrazia degna di questo nome, le vittime non si dividono in "giuste" e "sbagliate" a seconda dell'orientamento politico.

Solo una cultura malata e ideologizzata può arrivare a negare rispetto a un ragazzo assassinato. Intitolare una scuola a Sergio Ramelli non è una provocazione. È un atto di civiltà.

È educare i giovani a capire dove porta l'odio politico. È dire, una volta per tutte, che chi uccide per le idee è sempre dalla parte sbagliata della storia.

A chi continua a soffiare sul fuoco dell'intolleranza ideologica diciamo questo: non accettiamo lezioni morali da chi seleziona la memoria, cancella il dolore altrui e pretende pure di sentirsi "custode della democrazia".

La vera divisione la crea chi rifiuta di riconoscere una vittima. La vera vergogna è l'uso politico della memoria.

L'Osservatorio Sergio Ramelli continuerà a difendere questa verità con fermezza e senza arretrare di un millimetro: la memoria di Sergio Ramelli è memoria civile riguarda tutti e non sarà mai messa a tacere da chi preferisce l'ideologia alla verità.

Davanti alla morte violenta di un ragazzo, c'è solo una posizione possibile: rispetto.
Chi non è capace di riconoscerlo, si assume la responsabilità morale e storica delle proprie parole».