Dedicato a Italo Calvino, 19 settembre 2025
Il racconto di Giuseppe Lagrasta a 40 anni dalla scomparsa del grande scrittore
venerdì 19 settembre 2025
A quarant'anni dalla scomparsa di Italo Calvino, (19 settembre 1985-19 settembre 2025), Giuseppe Lagrasta, profondo conoscitore delle sue opere, ricorda lo scrittore ligure, dedicandogli un racconto fantastico.
Amerigo Ormea era arrabbiato. Aveva saputo della morte di Italo ed era anche angosciato. Si sentiva un orfano. Era nato, Amerigo nel 1963 come protagonista del romanzo "La giornata di uno scrutatore". In seguito era stato affidato alla ai nonni, perché Italo si era incaponito d'amore letterario per le formiche argentine, per lo studio delle nuvole di smog, per i gechi e le giraffe, per i labirinti e le città invisibili. "In verità – così Amerigo – non era mai riuscito a capire il padre, con tutte quelle sue ossessioni naturalistiche. Va bene il nonno Giovanni, agronomo e la nonna, Eva Mameli, botanica e i giardini di Santiago de Las Vegas all'Havana, nell'isola di Cuba, e la stazione agronomica sperimentale, e l'andare all'alba per la strada di San Giovanni, ma il padre con questi caruggi, formichine argentine, passaggi obbligati e amori difficili, insomma, si era un poco, intestardito". Amerigo non ne poteva più, ma lo stesso, era fortemente abbattuto e sofferente. Certo, gli avevano detto della scomparsa dell'ironico e divertente, zio Raymond Queneau e di quel simpaticone di zio George Perec, ma anche di zio Ronald Barthes, che non scherzava molto. Frequentavano la casa di Parigi e ne combinavano di tutti i colori: narrazioni combinatorie, scritture potenziali, fabbriche narrative e creative, ma la perdita di Italo lo stava uccidendo. Sudava, mentre nello scompartimento del treno, molti lo osservavano piangere, per il suo dolore, inconsolabile.
Amerigo era arrivato in treno a Siena da San Remo dove viveva nella Villa Meridiana di proprietà dei nonni e si era avviato alla carriera di giornalista. Finalmente a Siena, le viuzze, le piazze, i vicoli e un abbraccio con il fratellino Pin. "E la mamma – chiese Amerigo?- Dov'è la mamma?" Nessuna risposta. Sua madre era la Lettrice, la protagonista del romanzo: "Se una notte d'inverno un viaggiatore". Finalmente Amerigo la incontra, si avvicina, è abbracciata al Lettore, suo carissimo amico d'avventure letterarie. Il lettore, lo strattona, lo allontana. Un pò di gelosia mentre Amerigo sente una voce, somigliante a quella del padre, quando era affaticato oppure annoiato. E invece è la madre, la lettrice che singhiozzava. Più indietro, accasciato nel sacro banco, si trovavano: Pietro Citati, grande amico del padre, il fratello Palomar, il grande nonno, Don Ciccio Ingravallo, detto Carlo Emilio Gadda, Monsieur Teste e Natalia Ginzbur. Più discosta, Elsa Morante.
Marcovaldo, invece, arriva con i suoi sei figli. Ad un tratto appaiono Marco Polo e Kublai Khan. Si avvicinano ad Italo, lo salutano, pregano. Si avvicinano alla Lettrice, l'abbracciano. Si stringono al petto Amerigo Ormea, che avevano incontrato in occasione della rappresentazione teatrale de "Le Città Invisibili" e poi, tutti spariti. Italo si era dato alla scrittura degli apologhi e aveva insegnato a Palomar come imparare ad essere morti, da vivi! "In verità Italo, con le sue Cosmicomiche vecchie e nuove aveva rotto parecchio" – così Polo e Kublai Kan avevano bisbigliato durante il momento di preghiera nei pressi di Italo - . "Si sa, Marco Polo è un tipo nervoso e Kublai Khan da quando da potente imperatore si è posto in ascolto del suo impero in frantumi, sta invecchiando in malo modo" – così Amerigo -.
Amerigo Ormea, negli ultimi tempi aveva notato che il padre era tanto preoccupato. Si rilassava quando incontrava Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares e Silvina Ocampo, i suoi amici argentini. "E poi, le discussioni con lo zio Pietro Citati, le lezioni da tenere in America, le narrazioni sui cinque sensi, che torturavano Italo, – secondo Amerigo – lo avevano profondamente cambiato. Era sempre più chiuso e silenzioso del solito." Italo aveva parlato sempre poco nella sua vita, ma negli ultimi tempi era proprio somigliante a un monaco sulla spiaggia che adorava gli déi Aztechi e venerava i Maya. Amerigo, si avvicinò al padre, gli accarezzò la fronte e poco dopo, si accasciò su un banco, affranto. Solo Pin era un poco su di giri. Faceva sempre carte. Raccontava del padre che sulle prime aveva accettato di buon grado la definizione di "scoiattolo della penna" fatta da Cesare Pavese. Dopo, era cambiato il suo punto di vista e Amerigo ricordava quando leggendo quella affermazione, Italo era andato a lamentarsi da Natalia Ginzburg e da zio Elio Vittorini. La metafora dello scoiattolo lo turbava. Pavese, avesse detto "il rampante della penna", oppure "il cavaliere della scrittura" o anche "il visconte della narrazione", o meglio, l'Ariosto per i bambini, forse lui, qualche carta da destino incrociato se la sarebbe pur giocata. E invece Elio, un giorno con la risata sotto i baffi e un giorno con la risata sopra i baffi, a dirgli: "Caro Italo, vuoi mettere la mia Conversazione in Sicilia con Il Diavolo sulle colline di Cesare! Ma lascialo perdere, Italo, - diceva Elio – senti allo zio di Sicilia, continua a scrivere quello che senti, ascolta Maria Corti e ogni tanto cambia rotta, dedicati a costruire qualche collezione di sabbia, scrivi su città inesistenti, su cavalieri invisibili, su visconti dimezzati, su baroni rampanti che vivono sugli alberi e vedrai che la vita ti renderà felice". Italo invece, sosteneva di non voler essere uno scoiattolo e così rispondeva: "zio Elio, d'accordo, ci proverò, ne parlerò con Natalia e con Elsa. Ed Elio: "Italo, per cortesia, basta, anch'io ho da qualche parte un garofano rosso da innaffiare, qualche donna a Messina da amare, lo sai che vivo tra tanti uomini e no. Lo sai no?" -
"Dopo quegli avvenimenti, – questo ricordava Amerigo – il padre Italo, decise prima di andare a vivere a Roma e poi di trasferirsi a Parigi con la Lettrice, Chichita, con cui si sposò. Papà, ogni tanto aveva nostalgia dell'Italia, e scriveva ai suoi amici italiani parlando della Parigi a lui tanto cara!" Mentre Amerigo era tutto preso da queste storie fu svegliato da un forte brusìo. Era arrivato il Barone, Cosimo di Rondò con Viola di Vallombrosa, a salutarlo. Il Barone rampante e Amerigo non si vedevano da tanto tempo. Poco più lontano il giovane cavaliere inesistente, sempre ombroso e permaloso. E poi era arrivato il Marchese dimezzato, Medardo di Terralba. Si abbracciarono. Dissero che avrebbero dovuto, immediatamente, bere un caffè. Intanto, Viola parlava delle sue avventure e del suo bosco. Nel frattempo a Siena erano arrivati per l'ultimo saluto a Italo, Marcel Proust, Paul Valery, Raymond Queneau, Albert Camus, Franz Kafka, Antonio Cavilla e Tullio Pericoli, mentre, commosso e piangente, apparve, Giulio Einaudi, il grande mentore. Non riuscivano ad avvicinarsi a Italo, per troppa folla, ed erano preoccupati.
Tutti, però, fin dal mattino, avevano visto sostare Eugenio Montale accanto a Italo, affranto e commosso, ed era ancora, lì, seduto, in preghiera, lui così spesso, era preso da una strenua e paradossale, ricerca di Dio. Ma Eugenio per Italo, stravedeva. Quando Eugenio Montale e Marcel Proust espressero ad Italo l'ultimo saluto, un lungo applauso si diffuse nella navata della Cattedrale. L'applauso fu commovente quando si avvicinarono a Italo, Paul Valery, l'incosciente Zeno Cosini, Monsieur Teste e Monsieur Palomar. Poi si accostarono Albert Camus, Sartre e Simone De Beauvoir, Raskol'nikov, e Cesare Pavese, Elsa Morante e Natalia Ginzburg, con Chichita, distrutta. E ancora applausi della folla. E infine l'ultimo, Franz Kafka, prese Italo tra le sue braccia, e in una mongolfiera, con amore, lo condusse oltre le nuvole azzurre. E Kafka, con la mongolfiera, simile a quella del barone rampante, senza temere il vento e la vertigine, viaggiando su una rete di linee che s'allacciavano ai loro corpi, e sostando sul tappeto di foglie illuminato dalla luna, raggiunsero le Montagne di Ghiaccio.
Amerigo Ormea, chiuse gli occhi, per un lungo istante. Quando li riaprì, la Cattedrale era vuota. Così, si ritrovò con Cosimo, Viola, Palomar, Pin, Medardo e l'ombra di Agilulfo dei Guerni, ovvero il cavaliere inesistente. Fu in quel momento che Amerigo Ormea vide avvicinarsi il nonno, Carlo Emilio Gadda, ovvero Don Ciccio Ingravallo, che lo abbracciò. Poi, strinse tra le braccia, Cosimo di Rondò, Viola, Pin, Palomar, Agilulfo e Medardo corrucciato, con la faccia metà allegra e metà imbronciata. E nonno Don Ciccio Ingravallo pronunciò: "ragazzi sono vostro nonno e Italo mi ha detto di accudirvi e di non farvi mancare mai nulla. Venite a Firenze e starete sempre con me". Tutti assentirono. E in un attimo partirono.
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Amerigo Ormea era arrabbiato. Aveva saputo della morte di Italo ed era anche angosciato. Si sentiva un orfano. Era nato, Amerigo nel 1963 come protagonista del romanzo "La giornata di uno scrutatore". In seguito era stato affidato alla ai nonni, perché Italo si era incaponito d'amore letterario per le formiche argentine, per lo studio delle nuvole di smog, per i gechi e le giraffe, per i labirinti e le città invisibili. "In verità – così Amerigo – non era mai riuscito a capire il padre, con tutte quelle sue ossessioni naturalistiche. Va bene il nonno Giovanni, agronomo e la nonna, Eva Mameli, botanica e i giardini di Santiago de Las Vegas all'Havana, nell'isola di Cuba, e la stazione agronomica sperimentale, e l'andare all'alba per la strada di San Giovanni, ma il padre con questi caruggi, formichine argentine, passaggi obbligati e amori difficili, insomma, si era un poco, intestardito". Amerigo non ne poteva più, ma lo stesso, era fortemente abbattuto e sofferente. Certo, gli avevano detto della scomparsa dell'ironico e divertente, zio Raymond Queneau e di quel simpaticone di zio George Perec, ma anche di zio Ronald Barthes, che non scherzava molto. Frequentavano la casa di Parigi e ne combinavano di tutti i colori: narrazioni combinatorie, scritture potenziali, fabbriche narrative e creative, ma la perdita di Italo lo stava uccidendo. Sudava, mentre nello scompartimento del treno, molti lo osservavano piangere, per il suo dolore, inconsolabile.
Amerigo era arrivato in treno a Siena da San Remo dove viveva nella Villa Meridiana di proprietà dei nonni e si era avviato alla carriera di giornalista. Finalmente a Siena, le viuzze, le piazze, i vicoli e un abbraccio con il fratellino Pin. "E la mamma – chiese Amerigo?- Dov'è la mamma?" Nessuna risposta. Sua madre era la Lettrice, la protagonista del romanzo: "Se una notte d'inverno un viaggiatore". Finalmente Amerigo la incontra, si avvicina, è abbracciata al Lettore, suo carissimo amico d'avventure letterarie. Il lettore, lo strattona, lo allontana. Un pò di gelosia mentre Amerigo sente una voce, somigliante a quella del padre, quando era affaticato oppure annoiato. E invece è la madre, la lettrice che singhiozzava. Più indietro, accasciato nel sacro banco, si trovavano: Pietro Citati, grande amico del padre, il fratello Palomar, il grande nonno, Don Ciccio Ingravallo, detto Carlo Emilio Gadda, Monsieur Teste e Natalia Ginzbur. Più discosta, Elsa Morante.
Marcovaldo, invece, arriva con i suoi sei figli. Ad un tratto appaiono Marco Polo e Kublai Khan. Si avvicinano ad Italo, lo salutano, pregano. Si avvicinano alla Lettrice, l'abbracciano. Si stringono al petto Amerigo Ormea, che avevano incontrato in occasione della rappresentazione teatrale de "Le Città Invisibili" e poi, tutti spariti. Italo si era dato alla scrittura degli apologhi e aveva insegnato a Palomar come imparare ad essere morti, da vivi! "In verità Italo, con le sue Cosmicomiche vecchie e nuove aveva rotto parecchio" – così Polo e Kublai Kan avevano bisbigliato durante il momento di preghiera nei pressi di Italo - . "Si sa, Marco Polo è un tipo nervoso e Kublai Khan da quando da potente imperatore si è posto in ascolto del suo impero in frantumi, sta invecchiando in malo modo" – così Amerigo -.
Amerigo Ormea, negli ultimi tempi aveva notato che il padre era tanto preoccupato. Si rilassava quando incontrava Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares e Silvina Ocampo, i suoi amici argentini. "E poi, le discussioni con lo zio Pietro Citati, le lezioni da tenere in America, le narrazioni sui cinque sensi, che torturavano Italo, – secondo Amerigo – lo avevano profondamente cambiato. Era sempre più chiuso e silenzioso del solito." Italo aveva parlato sempre poco nella sua vita, ma negli ultimi tempi era proprio somigliante a un monaco sulla spiaggia che adorava gli déi Aztechi e venerava i Maya. Amerigo, si avvicinò al padre, gli accarezzò la fronte e poco dopo, si accasciò su un banco, affranto. Solo Pin era un poco su di giri. Faceva sempre carte. Raccontava del padre che sulle prime aveva accettato di buon grado la definizione di "scoiattolo della penna" fatta da Cesare Pavese. Dopo, era cambiato il suo punto di vista e Amerigo ricordava quando leggendo quella affermazione, Italo era andato a lamentarsi da Natalia Ginzburg e da zio Elio Vittorini. La metafora dello scoiattolo lo turbava. Pavese, avesse detto "il rampante della penna", oppure "il cavaliere della scrittura" o anche "il visconte della narrazione", o meglio, l'Ariosto per i bambini, forse lui, qualche carta da destino incrociato se la sarebbe pur giocata. E invece Elio, un giorno con la risata sotto i baffi e un giorno con la risata sopra i baffi, a dirgli: "Caro Italo, vuoi mettere la mia Conversazione in Sicilia con Il Diavolo sulle colline di Cesare! Ma lascialo perdere, Italo, - diceva Elio – senti allo zio di Sicilia, continua a scrivere quello che senti, ascolta Maria Corti e ogni tanto cambia rotta, dedicati a costruire qualche collezione di sabbia, scrivi su città inesistenti, su cavalieri invisibili, su visconti dimezzati, su baroni rampanti che vivono sugli alberi e vedrai che la vita ti renderà felice". Italo invece, sosteneva di non voler essere uno scoiattolo e così rispondeva: "zio Elio, d'accordo, ci proverò, ne parlerò con Natalia e con Elsa. Ed Elio: "Italo, per cortesia, basta, anch'io ho da qualche parte un garofano rosso da innaffiare, qualche donna a Messina da amare, lo sai che vivo tra tanti uomini e no. Lo sai no?" -
"Dopo quegli avvenimenti, – questo ricordava Amerigo – il padre Italo, decise prima di andare a vivere a Roma e poi di trasferirsi a Parigi con la Lettrice, Chichita, con cui si sposò. Papà, ogni tanto aveva nostalgia dell'Italia, e scriveva ai suoi amici italiani parlando della Parigi a lui tanto cara!" Mentre Amerigo era tutto preso da queste storie fu svegliato da un forte brusìo. Era arrivato il Barone, Cosimo di Rondò con Viola di Vallombrosa, a salutarlo. Il Barone rampante e Amerigo non si vedevano da tanto tempo. Poco più lontano il giovane cavaliere inesistente, sempre ombroso e permaloso. E poi era arrivato il Marchese dimezzato, Medardo di Terralba. Si abbracciarono. Dissero che avrebbero dovuto, immediatamente, bere un caffè. Intanto, Viola parlava delle sue avventure e del suo bosco. Nel frattempo a Siena erano arrivati per l'ultimo saluto a Italo, Marcel Proust, Paul Valery, Raymond Queneau, Albert Camus, Franz Kafka, Antonio Cavilla e Tullio Pericoli, mentre, commosso e piangente, apparve, Giulio Einaudi, il grande mentore. Non riuscivano ad avvicinarsi a Italo, per troppa folla, ed erano preoccupati.
Tutti, però, fin dal mattino, avevano visto sostare Eugenio Montale accanto a Italo, affranto e commosso, ed era ancora, lì, seduto, in preghiera, lui così spesso, era preso da una strenua e paradossale, ricerca di Dio. Ma Eugenio per Italo, stravedeva. Quando Eugenio Montale e Marcel Proust espressero ad Italo l'ultimo saluto, un lungo applauso si diffuse nella navata della Cattedrale. L'applauso fu commovente quando si avvicinarono a Italo, Paul Valery, l'incosciente Zeno Cosini, Monsieur Teste e Monsieur Palomar. Poi si accostarono Albert Camus, Sartre e Simone De Beauvoir, Raskol'nikov, e Cesare Pavese, Elsa Morante e Natalia Ginzburg, con Chichita, distrutta. E ancora applausi della folla. E infine l'ultimo, Franz Kafka, prese Italo tra le sue braccia, e in una mongolfiera, con amore, lo condusse oltre le nuvole azzurre. E Kafka, con la mongolfiera, simile a quella del barone rampante, senza temere il vento e la vertigine, viaggiando su una rete di linee che s'allacciavano ai loro corpi, e sostando sul tappeto di foglie illuminato dalla luna, raggiunsero le Montagne di Ghiaccio.
Amerigo Ormea, chiuse gli occhi, per un lungo istante. Quando li riaprì, la Cattedrale era vuota. Così, si ritrovò con Cosimo, Viola, Palomar, Pin, Medardo e l'ombra di Agilulfo dei Guerni, ovvero il cavaliere inesistente. Fu in quel momento che Amerigo Ormea vide avvicinarsi il nonno, Carlo Emilio Gadda, ovvero Don Ciccio Ingravallo, che lo abbracciò. Poi, strinse tra le braccia, Cosimo di Rondò, Viola, Pin, Palomar, Agilulfo e Medardo corrucciato, con la faccia metà allegra e metà imbronciata. E nonno Don Ciccio Ingravallo pronunciò: "ragazzi sono vostro nonno e Italo mi ha detto di accudirvi e di non farvi mancare mai nulla. Venite a Firenze e starete sempre con me". Tutti assentirono. E in un attimo partirono.
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