Cercasi un posto nel mondo, più pugliesi al Nord che migranti in Puglia

L’analisi del Bes 2019 dell'Istat ha registrato un peggioramento della qualità del lavoro e il rischio declino demografico

giovedì 30 gennaio 2020 10.17
A cura di Antonella Filannino
La forbice continua pian piano ad allargarsi e potremmo dire che sia piuttosto vicina a una "spaccata". Il divario storico fra Nord e Sud non si arresta in termini di reddito e per ciò che riguarda la vita sociale ed economica. E mentre la storia dei due giovani ingegneri laureati, oggi assunti come netturbini dalla Bar.S.A. spa di Barletta, fa il giro della nazione, e non solo, l'analisi del Bes 2019 dell'Istat mette nero su bianco la distanza. Trattasi di una lettura in chiave regionale realizzata da Elisa Mariano e Giuseppe Lollo per la Fondazione Rita Maierotti e resa nota qualche giorno fa.

I pugliesi che emigrano al Nord sono più numerosi degli immigrati regolari che hanno deciso di vivere in Puglia. È questo lo scenario illustrato dall'indagine della Cgil Puglia sui dati del "Benessere equo e sostenibile", nella quale pur avendo constatato indicatori migliori rispetto alle regioni vicine, ha evidenziato un peggioramento della qualità del lavoro e il rischio declino demografico. Quest'ultimo dato trova la sua spiegazione da una parte nella diminuzione del numero delle nascite e dall'altra nell'emigrazione, soprattutto dei giovani pugliesi.

Sono grafici e curve che descrivono una realtà che non sorprende più. Per questo il trentenne che vive ancora a casa dei suoi non lo si può più definire "mammone". Come potrebbe pagare anche un semplice affitto se come certezza ha solo il peso di non poter fare da solo? Allora per mollare quella pesantezza, decide di lasciare la sua Puglia, la sua famiglia e di andare via. Cercare altro, lontano. Proprio come fanno tanti altri ragazzi stranieri! Nel frattempo quella curva diventa linea retta e scende vertiginosamente fino a toccare il fondo. E ancora, non è forse comprensibile la decisione delle giovani coppie di attendere "ancora un po'" prima di sognare il primo figlio? E anche qui, la freccia scende in basso fino al rischio declino demografico.

Sembra che i numeri parlino di un aumento dell'occupazione, ma è un abbaglio perché a crescere è il lavoro povero e precario, soprattutto a tempo determinato e part-time, quindi con bassi salari. Per quanto ancora la cerniera resterà legata al suo punto?

Alcuni dati resi noti dal segretario generale della CGIL Puglia, Pino Gesmundo:


L'occupazione cresce nella nostra regione dell'1,3% per un tasso del 49,4%. Ma clamorosa è la differenza di genere: se infatti il tasso di occupazione degli uomini è simile alla media italiana (63,7%) le donne si fermano al 35,6%. Gli indicatori che misurano la conciliazione tra vita e lavoro mostrano una difficoltà da parte delle donne con figli piccoli ad entrare nel mondo del lavoro. E sempre le donne sono le principali vittime del part-time involontario: complessivamente in Puglia interessa il 14% dei lavoratori (era l'8,9% nel 2010) mentre tocca quota 23,7 se si analizza invece il solo dato femminile. Il dato medio del part-time al Nord si attesta a livelli più bassi 10,3%, così come più facilmente nel settentrione chi è impegnato in lavori precari vede stabilizzare il proprio rapporto. Al Nord la percentuale è del 17,6% al Sud il 10,8%. In Puglia gli occupati con lavori a termine da almeno cinque anni solo il 24,6%.

Elementi qualitativi che trascinano verso il basso anche le retribuzioni: nella regione i lavoratori con bassa paga (si intende con una retribuzione oraria inferiore a 2/3 di quella media) sono il 18,3% (dato Italia 10%). E ancora una volta le donne sono le più penalizzate, per loro la percentuale è del 23,4.

Un elemento legato alla scarsa innovazione che caratterizza il sistema produttivo (la spesa per ricerca è lo 0,8% del Pil, la propensione alla brevettazione del 12,3% contro una media Italia del 75,8) determina anche un numero alto di occupati sovraistruiti – 24,1%, erano il 17,8% nel 2010 - ossia che possiedono un titolo di studio superiore a quello posseduto per svolgere la stessa professione. A dimostrazione della bassa qualità di domanda di lavoro che arriva dalle imprese e che spinge anche tanti giovani laureati ad emigrare: ogni mille laureati 23,9 lasciano la Puglia.