Chiamatemi solo Saso: «Tutto il dolore mi è stato utile»

Salvatore nasce come ballerino a Barletta, ma l'istinto l'ha portato in un'altra direzione

sabato 26 giugno 2021
A cura di Gaia Paolillo
La sua storia è quella di un self-made man: un ragazzo partito da poco che con dedizione, impegno e tanta volontà ha saputo ripartire da se stesso.
Quando Saso aveva solo 13 anni girovaga tra le strade della sua città Barletta, ballando break dance con i suoi amici. Il suo primo amore è stata la danza classica: la costanza e la precisione millimetrica di questa disciplina l'hanno portato a studiare tutto con estrema cura e diligenza. Poi è arrivata la break: «Volevo solo tanto sperimentare, trovare me stesso attraverso la danza». Tra un passo di footwork e un altro di power move, la strada di Saso iniziava ad illuminarsi verso la direzione giusta. Non gli importava avere troppi amici e a volte ha avuto anche tanta difficoltà nell'aprirsi a qualcuno. Non gli è mai importato troppo dello studio e non perché non fosse capace, ma la danza circondava ogni aspetto, occupava tutti gli attimi. In tutte le azioni quotidiane, Saso si ferma e istintivamente si muove a ritmo con la sua schiena dritta e flessibile. Le note musicali della strada le portava dentro, implodevano ed esplodevano. Dal nulla, insieme ad altri ragazzi creano una piccola comunità di ballerini: afittano il primo locale in cui poter ballare, studiare fino a tardi, tutto solo in nome di un'unica passione. L'unica cosa che Saso voleva era ballare, che qualcuno lo notasse, per spiccare quel tanto desiderato volo e realizzare i suoi sogni.

Arrivano le prime occasioni, qualcuno lo riconosce e arriva il provino a Roma: Notre-Dame.
Il compagno d'avventura romana è il suo migliore amico Edoardo, che ricorda sempre tra i suoi discorsi con un filo velato di lucidità tra gli occhi. Dopo i primi mesi in compagnia teatrale, sembrava tutto tingersi dei colori dei suoi sogni. Poi un giorno, una caduta durante le prove e tutto ritorna adombrato. Saso si ritrova in ospedale con scarsa sensibilità alle gambe e la schiena dolorante, di lì in poi è rimasto per un anno sulla sedia a rotelle. «Edo in quel periodo è stato la mia famiglia, mi aiutava in tutti i movimenti anche se volevo dimostrare a tutti i costi di potercela fare da solo».

La sua vita dopo l'infortunio non è stata facile: la riabilitazione, il sogno della danza che sembrava allontanarsi, la rabbia nel non poter essere autonomo. Più volte ha pensato di ricominciare lo studio nella speranza di iniziare un percorso che potesse garantirgli stabilità. Le stesse volte capiva di voler sperimentare altro. Un percorso in continua tensione tra la paura di non farcela e quella di continuare a resistere. La tensione esplode e ne nasce un nuovo progetto: una start up per la comunicazione digitale. Saso non ha fatto l'Università per realizzare questo sogno, ma ha studiato moltissimo da solo. Roma gli ha offerto innumerevoli possibilità quando il sogno di trasformare la danza in lavoro lo aveva chiuso in un cassetto dolcemente, lasciandolo leggermente socchiuso per ricordarlo con malinconia.

Notti insonni per realizzare la strat up, il frutto di un lavoro a quattro mani con il suo socio e amico, studente di fisica.

«Credo nelle potenzialità del machine learning. La nostra start up innovativa è il frutto dell'unione tra comunicazione e informatica. Inutile dire che sull'algoritmo che abbiamo progettato e creato nessuno avrebbe scommesso qualcosa. Mesi a convincere gli investitori nelle nostre potenzialità, ma solo dopo tanta fatica le cose hanno iniziato a prendere forma».


In America, Saso e il suo team presentano l'iniziativa, ci credono e di qui nasce The Box. Salvatore, per tutti solo Saso, non ha mai smesso di credere nei giovani, di creare opportunità e di vivere di comunicazione.

«I miei genitori volevano facessi altro è vero, io ho ascoltato solo il mio istinto. Mi sono lasciato guidare. Non mi interessa parlare di soldi o sviluppo finanziario. Voglio parlare del potere dell'empatia, comunicare a tutti i giovani come me che nonostante tutto, ci sarà sempre una strada alternativa da percorrere. Io non vedevo il bagliore infondo al tunnel quando ho perso la danza, non vedevo proprio un futuro. Mi sono gettato in un nuovo progetto in cui nessuno credeva, solo io e il mio socio. È solo l'inizio. Ho in mente tantissimi altri progetti per l'Italia perché non voglio migrare, non voglio dubitare del mio Paese come hanno fatto con me.»


Saso, nome che gli ha donato la nonna per il suo colorito mulatto, dedica ogni traguardo al suo amico Edo, per tutti i sogni incompiuti che non ha potuto realizzare. Spera che gli arrivino tutte le vittorie lassù perché portano il suo nome.