Barletta, odi et amo

Giovani leve crescono qui e non altrove. Ma riescono anche a lavorare nella propria città?. Inizia l'indagine di Barlettalife fra i ragazzi barlettani

giovedì 14 giugno 2012
Non è tanto diversa, ma forse nemmeno tanto più grave, la situazione dei neolaureati, neodiplomati e diplomandi di Barletta da quella di tante altre realtà vicine e non: disillusione e insicurezza incombono nelle giovani menti, accanto a sogni e speranze. L'unica cosa certa per loro è che il futuro sarà ostico e deludente, soprattutto se si sceglie di rimanere nella propria città, dove il progresso e l'investimento sulle nuove risorse appare loro ancora fermo e stagnante. Rimanere sembra non essere quasi mai una libera scelta, ma una condizione subita per ragioni di natura economiche o affettive, cosicché credere nel proprio territorio appare più un accontentarsi.

Gli anni passati, e probabilmente anche quelli a venire, sono lo scenario di un processo di recessione economica di ampio raggio, estesa a livello nazionale e internazionale, durante i quali Barletta non è stata esonerata dal declino, ma questo sembra abbastanza scontato. Quali sono, infatti, le peculiarità del mercato del lavoro barlettano e quali le sue difficoltà specifiche? A detta dei giovani, forse queste non dipendono dal momento storico-economico in cui si trova l'Italia intera, ma da una condizione perpetua di mentalità chiusa e inerte. Un neodiplomato o un diplomando barlettano, infatti, alla domanda «cosa hai deciso di fare dopo il diploma?» risponde frequentemente, con un atteggiamento rassegnato e pessimista, che rimarrà qui perché è più semplice, viste le difficoltà economiche e di integrazione che comporterebbe un trasferimento, ma che con tale scelta sicuramente affronterà un domani il problema della disoccupazione che incombe qui più che altrove. Certamente alle paure di questa scelta si uniscono la speranza nel progresso di un territorio ad alto potenziale, per il suo ricco patrimonio artistico, la bellezza del suo paesaggio naturale, il tessuto imprenditoriale discreto, ma questa sembra più che altro un'aspettativa fugace, interrotta dal ricordo delle parole udite dai professori tra i banchi di scuola: «Scegliete medicina perché solo così riuscirete a lavorare!» . Come se l'equazione "medico = salario" bastasse a motivare giovani leve che, giustamente, sognano il proprio futuro ad occhi aperti.

Ancora più complesso è, poi, il destino dei giovani neolaureati, tra i quali troviamo chi è rimasto sempre qui, chi è andato via a diciotto anni e poi ha scelto di tornare, chi è stato via solo per frequentare un master o uno stage, o chi è ancora fuori ma ha tante idee per la testa da realizzare a Barletta, perché l'adora e non vuole lasciarla per sempre, ma l'ha lasciata solo per un po', giusto per il tempo di "rubare" qualche idea diversa. Infatti non è per niente raro incontrare neolaureati che hanno tutti lo stesso sogno: rientrare a casa o continuare a restarci perché desiderano accrescere la propria città partendo dall'economia. Barletta non è una città morta per loro, è solo ferma ad un punto che non è di non ritorno. Barletta è, per certi aspetti, ancora una tabula rasa sulla quale incidere le proprie idee innovative, che sono tante e disparate; una tra le tante, la più banale, è la richiesta di realizzazione di opere pubbliche per lo sviluppo della litoranea di ponente (invece di continuare a costruire palazzi), creando lavoro e innalzando l'orgoglio della propria terra.

Ma il problema più grande col quale si scontra un neolaureato a Barletta non è stato ancora messo in luce, ovvero quello della bassa o inesistente remunerazione che gli spetta per il suo operato. Se un praticante avvocato (ma si potrebbe anche fare l'esempio di un professionista alle prese con uno studio che non è il proprio), o un praticante architetto, o un giovane dentista, un giovane psicologo, o tanti altri neofiti del mondo del lavoro, dovesse pensare ad un corso di formazione, ad un viaggio di piacere, o ad una semplice uscita serale con gli amici ha solo due possibilità per ottenere denaro: chiedere ai propri genitori, oppure rimboccarsi le maniche e lavorare in un pub per 30 euro giornalieri. La gavetta e la pratica propedeutica ad una professione sono prassi antiche quanto il mondo, ma non è forse arrivata l'ora di comprendere che la retribuzione o il rimborso spese sono il primo elemento di incentivazione per un lavoratore/praticante? Ogni allievo dovrebbe ringraziare ogni giorno il proprio maestro per gli insegnamenti ricevuti, ma ogni maestro dovrebbe cominciare a ricambiare la disponibilità del proprio allievo con compensi adeguati, perché l'ambizione di ogni giovane alla ricerca di un lavoro è l'autonomia economica, oltre che la soddisfazione professionale.

Il lavoro, con tutto ciò che c'è di preliminare ad esso, è strettamente correlato al denaro, e sembra anche banale dirlo. Così se si vuole che Barletta cresca, trattenendo le proprie risorse, è necessario che anche i professionisti senior inizino ad investire, facendo circolare le idee dei professionisti junior e, con esse, anche i giusti ricompensi.

[Serena Lacerenza]