La protesta di Angelo JPG
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La città

Angelo torna a casa, «la tenda è stata il centro operativo della nostra lotta»

Per 11 giorni ha vissuto sotto i portici di Palazzo di città, «la mia attività ormai non esiste più, ma spero un giorno di riaprire»

Si è conclusa nella notte del 25 aprile la protesta di Angelo Batticore con sfondo Palazzo di città e i suoi portici, che sono stati per ben undici giorni il rifugio di un giovane ventottenne.

I motivi che hanno spinto Angelo ad accamparsi con una tenda nel luogo simbolo della città sono molti, nascono da una storia che è la sua e quella di tantissimi ristoratori.

Attivista anche sui social, non ha mai smesso di raccontare durante la notte le sue giornate in tenda: le evoluzioni, il sostegno, le iniziative di moltissimi ragazzi che hanno cercato di donargli voce e spazio.

La caparbietà di questo ragazzo è il simbolo di una generazione attenta al sociale, molto più di quanto si pensi. Ha resistito per ben 7 giorni senza mangiare, ha smaltito 5kg.

Giorni in cui non ha mai smesso di credere che senza il diritto al lavoro, come si può andare avanti o cibarsi e provvedere al necessario?

Abbiamo rivolto ad Angelo alcune domande a conclusione di questa lotta pacifica e ci dice: "La protesta è riuscita a portare alla luce delle problematiche economiche e sociali, causate non tanto dalla pandemia in sè, ma dalle politiche che sono state attuate per fronteggiarla. Ad esempio, le falle nel sistema dei ristori, in cui molte categorie si sono trovate completamente escluse - ad esempio il mondo dello spettacolo - o i continui ritardi nell'erogazione dei suddetti, come ad esempio il ristoro di dicembre della regione Puglia che ancora nessuno ha incassato. e che dire della cassaintegrazione veramente ridicole anche qui con ritardi allucinanti.

Personalmente torno a casa con un leggero amaro in bocca, avrei voluto fare di più. Avrei voluto ridare un certo senso di dignità al nostro lavoro, anzi al lavoro di tutti. Da un anno veniamo trattati come dei burattini alla mercé del governo nazionale Però torno a casa con la felicità della solidarietà del popolo comune: il sorriso della vecchietta che mi chiedeva come stessi, con l'aver unito persone con pensieri politici diversi in un'unica battaglia sociale che esce fuori dalla concezione politica, non esisteva destra o sinistra, ma un obiettivo giusto e comune.

Oltre ad aver smosso l'opinione pubblica e aver portato alla luce determinate problematiche, siamo riusciti a creare un fondo che servirà per chi come me ha avuto non poche difficoltà durante le chiusure imposte causa Covid.

Abbiamo fatto capire alle amministrazioni che come cittadini e come imprenditori non siamo solamente dei numeri, non siamo solamente tasse da pagare ma siamo principalmente esseri umani che hanno bisogno di lavorare, che hanno sogni e progetti e non possiamo essere lasciati nell'indifferenza più totale.

Spero inoltre, che le amministrazioni comunali d'Italia prendano il buon esempio da alcuni colleghi, facendo degli spostamenti straordinari di bilancio per dare una mano alle attività in difficoltà, che donino i propri gettoni di presenza al bene comune della propria cittadinanza, perché per ogni attività che muore, c'è una famiglia alle spalle e un indotto non da poco.

Tornare a casa è strano, specialmente per me, perché pur sapendo di aver lottato per tutti, so anche che ormai la mia attività non esiste più e spero un giorno di poterla riaprire, anche se sarà molto dura sul punto di vista economico.

Ricominciare a mangiare penso sia ancora ad oggi non semplice, il corpo si è abituato al digiuno e devo far attenzione a non esagerare. Magari poi, vorrei riuscire a non recuperare i 5 kg persi [ride, ndr].

Inoltre, sento anche una certa malinconia perché la tenda è stata il centro operativo della nostra lotta. Amici e colleghi si riunivano tutti i giorni li con me, si parlava dei progetti del futuro, dei timori e delle incertezze, anche se non mancavano certo i momenti più rilassati e spensierati per rallegrarci la giornata."

Si concludono le cronache di quel giovane ragazzo napoletano che a Barletta ha cercato di farsi portavoce di una classe sociale e lavorativa che sta soffrendo. Si conclude questo racconto con uno spazio vuoto lasciato alla destra dell'entrata di Palazzo di città.
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