Pasquale Di Cosola: «Disponibile a far ripartire il Barletta, ma...»
L'imprenditore barlettano dice la sua su passato, presente e futuro del sodalizio biancorosso
venerdì 3 luglio 2015
10.23
L'era Perpignano ormai è finita in archivio, il Barletta ha perso amaramente il patrimonio del calcio professionistico, conquistato con tanti anni di sacrifici nelle serie inferiori ed ora tocca voltare pagina e ripartire dalle categorie dilettantistiche. Per farlo, ci sarà bisogno di un nuovo corso forte e sano che permetta una vera e propria rinascita del calcio a Barletta. Molti sono i nomi che in questi giorni vengono indicati come traino della possibile rinascita, alcuni come l'imprenditore molfettese Corrado Azzollini si sono già defilati, altri come Nicola Canonico non si sono mai palesati. L'altro nome sul piatto è quello di Pasquale Di Cosola, figlio dell'indimenticato Franco, presidente degli anni ruggenti della serie B ed artefice del miracolo Barletta. La nostra redazione ha contattato l'imprenditore barlettano per conoscerne la disponibilità e comprendere quali siano le sue intenzioni, ne è venuto fuori un colloquio chiaro ed eloquente che traccia bene l'idea di Di Cosola sul passato, il presente ed il futuro del calcio barlettano.
Signor Di Cosola, come sta vivendo la scomparsa dal calcio a Barletta?
«Ovviamente in maniera molto triste. Da tifoso e da chi ha legato la propria adolescenza in compagnia di mio padre durante i tempi d'oro del Barletta, sono giorni di tristezza ma anche di rabbia. Sono sicuro che questa situazione si poteva evitare, ma in molti hanno permesso passivamente che Perpignano portasse la società nel baratro».
Qualche riferimento particolare? A chi si riferisce?
«Le spiego. Spesso, in passato, ho tentato di avvicinarmi al Barletta ma mi sono state sempre chiuse le porte in faccia. Dalla vecchia dirigenza, e non mi riferisco a Perpignano, alla tifoseria. In un occasione, credo durante una conferenza stampa, qualcuno aveva definito una "buccia di banana", colui il quale aveva tentato di trattare la società. Bene, in quel periodo, ero l'unico che lo stava facendo e dunque, devo dedurre, che la "buccia di banana" fossi io. Quella stessa persona ha poi consegnato la società a Perpignano. Beh se io ero una buccia di banana, Perpignano e il precedente proprietario del Barletta, visto com'è andata a finire, erano due alberi di banane. Credo di esser stato abbastanza chiaro»
Come ha già detto, in passato si è spesso interessato al Barletta. Oggi conferma la sua disponibilità?
«Effettivamente ho letto il mio nome accostato al Barletta. Molti, per strada, mi chiedono cosa intendo fare. Il mio interesse è rimasto immutato. Ma, attenzione, mecenati, eroi o finti salvatori della patria non esistono più. Il tempo dell' "armiamoci e poi si parte da solo" è finito ed io non sono la ruota di scorta di nessuno. Ognuno deve, nelle sue competenze, fare la sua parte».
Si spieghi meglio, cosa intende?
«Innanzitutto il Comune. Per un gruppo che vuole investire nel calcio, lo stadio funzionale e a completa disposizione è obbligatorio. Occorrerà sapere, per tempo, se lo stadio sarà disponibile per giocarci oppure se la squadra sarà costretta ad esiliare su altri campi. La speranza è che l'ultima data, quella dell'8 luglio, sia quella finalmente giusta per l'inizio dei lavori. Inoltre, credo che il Comune debba fare la sua parte, dando una mano alla squadra di calcio della propria città. Ci sono realtà vicine a noi dove le amministrazioni comunali intervengono collaborando economicamente in maniera attiva al fianco delle società di calcio».
Oltre al Comune a cosa altro si riferisce? Ci sono altre componenti?
«Mi riferisco ai tifosi. La ferita per uno striscione offensivo e gratuito apparso qualche tempo fa in curva e avvalorato anche da gran parte della tifoseria presente quel giorno allo stadio, è ancora aperta, ma non nascondo che con i due gruppi organizzati, il G.E. e il C.U.C.S. i rapporti sono ottimi. Poi leggo che è sorta una società di eventuale supporto al Barletta, la "Barletta 1922", che vorrebbe affiancare il nuovo Barletta, farle da supporto. Ma io faccio la stessa domanda, la faccio da mesi, ma con quali soldi? Con 20, 30 o 50 mila euro? Qualche mese fa, ho incontrato un signore, che fa parte di questa società. Mi disse di avere pronti 12-15 imprenditori che potevano entrare nella futura" Barletta 1922", portando soldi che avrebbero fatto comodo alla causa biancorossa. Mi chiedo e gli chiedo: dove sono finiti questi imprenditori? E poi ci sono "I Biancorossi". L'anno scorso, di questi tempi, avevano acclamato Perpignano, avevano partecipato a cene definendole "sguardi sul futuro", e gli sono stati vicini fino all'ultimo, ignorando i segnali, le paure che arrivavano dal resto della tifoseria. Hanno assistito impassibili alla morte del Barletta, anzi. Adesso, appena appresa la notizia dell'esclusione della squadra, si ripropongono, affermando che bisogna cambiare lo statuto, che devono entrare in società per vigilare, controllare, mettere dentro un loro consulente finanziario. Ma la domanda è sempre la stessa: con quali soldi? Tornando ai tifosi, quelli veri, credo che anche loro possono e devono fare la loro parte. Sarebbe bello e stimolante anche da loro un segnale. Magari sottoscrivendo un numero di abbonati che per la categoria interessata al Barletta sarebbe una specie di record».
Per concludere, mi sembra che lei sia fortemente combattuto, quali saranno le sue prossime mosse?
«Se tutte queste componenti si dovessero realizzare e non mi sembra impossibile, ci sarebbero assolutamente le intenzioni per una pronta ripartenza».
Signor Di Cosola, come sta vivendo la scomparsa dal calcio a Barletta?
«Ovviamente in maniera molto triste. Da tifoso e da chi ha legato la propria adolescenza in compagnia di mio padre durante i tempi d'oro del Barletta, sono giorni di tristezza ma anche di rabbia. Sono sicuro che questa situazione si poteva evitare, ma in molti hanno permesso passivamente che Perpignano portasse la società nel baratro».
Qualche riferimento particolare? A chi si riferisce?
«Le spiego. Spesso, in passato, ho tentato di avvicinarmi al Barletta ma mi sono state sempre chiuse le porte in faccia. Dalla vecchia dirigenza, e non mi riferisco a Perpignano, alla tifoseria. In un occasione, credo durante una conferenza stampa, qualcuno aveva definito una "buccia di banana", colui il quale aveva tentato di trattare la società. Bene, in quel periodo, ero l'unico che lo stava facendo e dunque, devo dedurre, che la "buccia di banana" fossi io. Quella stessa persona ha poi consegnato la società a Perpignano. Beh se io ero una buccia di banana, Perpignano e il precedente proprietario del Barletta, visto com'è andata a finire, erano due alberi di banane. Credo di esser stato abbastanza chiaro»
Come ha già detto, in passato si è spesso interessato al Barletta. Oggi conferma la sua disponibilità?
«Effettivamente ho letto il mio nome accostato al Barletta. Molti, per strada, mi chiedono cosa intendo fare. Il mio interesse è rimasto immutato. Ma, attenzione, mecenati, eroi o finti salvatori della patria non esistono più. Il tempo dell' "armiamoci e poi si parte da solo" è finito ed io non sono la ruota di scorta di nessuno. Ognuno deve, nelle sue competenze, fare la sua parte».
Si spieghi meglio, cosa intende?
«Innanzitutto il Comune. Per un gruppo che vuole investire nel calcio, lo stadio funzionale e a completa disposizione è obbligatorio. Occorrerà sapere, per tempo, se lo stadio sarà disponibile per giocarci oppure se la squadra sarà costretta ad esiliare su altri campi. La speranza è che l'ultima data, quella dell'8 luglio, sia quella finalmente giusta per l'inizio dei lavori. Inoltre, credo che il Comune debba fare la sua parte, dando una mano alla squadra di calcio della propria città. Ci sono realtà vicine a noi dove le amministrazioni comunali intervengono collaborando economicamente in maniera attiva al fianco delle società di calcio».
Oltre al Comune a cosa altro si riferisce? Ci sono altre componenti?
«Mi riferisco ai tifosi. La ferita per uno striscione offensivo e gratuito apparso qualche tempo fa in curva e avvalorato anche da gran parte della tifoseria presente quel giorno allo stadio, è ancora aperta, ma non nascondo che con i due gruppi organizzati, il G.E. e il C.U.C.S. i rapporti sono ottimi. Poi leggo che è sorta una società di eventuale supporto al Barletta, la "Barletta 1922", che vorrebbe affiancare il nuovo Barletta, farle da supporto. Ma io faccio la stessa domanda, la faccio da mesi, ma con quali soldi? Con 20, 30 o 50 mila euro? Qualche mese fa, ho incontrato un signore, che fa parte di questa società. Mi disse di avere pronti 12-15 imprenditori che potevano entrare nella futura" Barletta 1922", portando soldi che avrebbero fatto comodo alla causa biancorossa. Mi chiedo e gli chiedo: dove sono finiti questi imprenditori? E poi ci sono "I Biancorossi". L'anno scorso, di questi tempi, avevano acclamato Perpignano, avevano partecipato a cene definendole "sguardi sul futuro", e gli sono stati vicini fino all'ultimo, ignorando i segnali, le paure che arrivavano dal resto della tifoseria. Hanno assistito impassibili alla morte del Barletta, anzi. Adesso, appena appresa la notizia dell'esclusione della squadra, si ripropongono, affermando che bisogna cambiare lo statuto, che devono entrare in società per vigilare, controllare, mettere dentro un loro consulente finanziario. Ma la domanda è sempre la stessa: con quali soldi? Tornando ai tifosi, quelli veri, credo che anche loro possono e devono fare la loro parte. Sarebbe bello e stimolante anche da loro un segnale. Magari sottoscrivendo un numero di abbonati che per la categoria interessata al Barletta sarebbe una specie di record».
Per concludere, mi sembra che lei sia fortemente combattuto, quali saranno le sue prossime mosse?
«Se tutte queste componenti si dovessero realizzare e non mi sembra impossibile, ci sarebbero assolutamente le intenzioni per una pronta ripartenza».