«Uno di quei 50 milioni di morti avrei potuto essere io»

Domenico Morra, scampato ai lager, rievocato dall'Anmig di Barletta

domenica 24 gennaio 2016 13.12
A cura di Tommaso Francavilla
«Uno di quei 50 milioni di morti avrei potuto essere io, all'epoca avevo 24 anni». Il maestro barlettano Domenico Morra, scampato alla prigionia in un campo di lavoro tedesco, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943, è stato ricordato in una serata organizzata dall'ANMIG (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra) del presidente Ruggiero Graziano, in occasione del "Mese della Memoria". La serata, dal titolo "Ricordi di vita vissuta", ha ripercorso i ricordi di Domenico Morra, nell'arco dei due anni di prigionia, dal 1943, fino al ritorno a Barletta, nel giugno 1945. I ricordi sono stati affidati alle voci narranti dei poeti Francesco Paolo Dellaquila ( ex allievo del maestro Morra) e Raffaella Magliocca, con Annamaria Dellaquila e Maria Grazia Gazzillo e l'accompagnamento musicale del prof. Luigi Musti. La serata si è svolta presso la libreria "Cialuna". Dal memoriale del prof. Morra, le voci recitanti dei poeti barlettani ci riconsegnano viva e intatta la memoria storica. Tra i i presenti la prof.ssa Angela Morra, figlia di Domenico. A seguire, pubblichiamo le fasi salienti del memoriale di Domenico Morra, recitate durante la serata.

La cattura
"La sera dell'8 settembre 1943, all'atto dell'armistizio dell'Italia, ero in servizio, ormai da due anni, presso l'Ufficio Contabilità e Revisione di Udine, mobilitato. 12 settembre, domenica, il Magg. Cavalli, segretario dell'ufficio, ci dette un foglio licenza e ci mise in libertà. Alla stazione ferroviaria presi la tradotta militare per Bari. A Mestre, a mezzanotte, la tradotta fu fermata da un reparto di soldati tedeschi che ci condussero nel piazzale della stazione, dove già c'erano altri soldati. L'indomani mattina, chiusi in carri bestiame, fummo avviati in Germania".

Il campo di concentramento e di lavoro, matricola 43428
"Il 18 settembre raggiungemmo il konzentrationlager (campo di concentramento) Stalag II B - Hammerstein, in Pomerania, nei pressi di Danzica. Un'immensa distesa di baracche tutte uguali, di legno, suddivise in blocchi, con le torri di guardia, le cucine, i depositi, le docce, le fontane a pozzo artesiano. Fui immatricolato col numero 43428, dopo la doccia e la spidocchiata, il 2 ottobre, fui smistato e avviato (in un centinaio), al lavoro forzato presso la fabbrica bellica di Karl Richter, Arbeit Kommando 3021 (numero della fabbrica), nella cittadina di Stolp,in Pomerania, pochi chilometri a nord-ovest di Danzica, otto chilometri a sud del Mar Baltico. Si lavorava dieci ore al giorno, ma verso la fine del 1944 le ore di lavoro furono portate a dodici. Io che in Italia ero studente, fui adibito, con parecchi altri, a facchino per il carico e scarico di materiale. Trascorse il freddo inverno 1943-44, con temperature sempre molti gradi sotto lo zero".

Estate 1944, si avvicinano le truppe sovietiche e americane
"Venne l'estate 1944, breve, tiepida, con la sua quasi aurora boreale: il sole tramontava tardissimo, poco prima di mezzanotte,un'ora dopo era già l'alba del nuovo giorno. I fronti si erano avvicinati: i Russi avevano riconquistato tutto il loro territorio perduto all'atto dell'invasione proditoria tedesca ed erano vicini; gli Anglo-Americani erano sbarcati in Normandia e il fronte italiano non andava meglio. Si stringeva il cerchio intorno alla Germania. I Russi erano alle porte ed entrarono in Stolp l'8 marzo 1945; io non ero più nella tranquilla Stolp all'arrivo dei Russi, ma in ben altra zona della Germania e in condizioni ben diverse".

Il trasferimento
"Il 21 novembre eravamo stati trasferiti con molti altri prigionieri nella zona più industrializzata della Germania, presso l'Organizzazione Todt, l'organizzazione militare per le fortificazioni. Fu terribile. In centinaia fummo alloggiati in un castello fatiscente, semi diroccato, lo Schloss di Merhum, perché nei dintorni, più vicino al lavoro sul Reno, non c'era altra possibilità, né potevamo passare le notti all'addiaccio. Peggio dellebestie. I sorveglianti tedeschi ci svegliavano di buon'ora, ci incolonnavano, e questa lunga fila di schiavi, si avviava verso il Reno, per cinque chilometri, per raggiungere il luogo di lavoro all'alba. Si doveva scavare un canale lungo molti chilometri, largo e profondo cinquanta centimetri, nel quale sarebbe passata una tubazione, una specie di oleodotto, che partendo da un boschetto su una collina vicino Wessel, doveva attraversare il Reno sul fondo, mediante un tubo di ferro di grosso spessore, che poi tirammo faticosamente da unasponda all'altra con un verricello, e arrivare fino alle Ardenne, perfornire direttamente carburante ai reparti che fronteggiavano gli Anglo-Americani. Era l'ultima pazzia di Hitler. Finalmente alla fine di gennaio il canale fu terminato, dopo almeno due mesi di quel lavoraccio. Sulla collina, nel boschetto, erano stati collocati dei serbatoi enormi che furono riempiti di carburante e dopo tante nostre imprecazioni, nei primi di febbraio 1945 venne inaspettatamente il bombardamento. Piovvero grappoli di bombe dirompenti e incendiarie che fecero saltare in aria serbatoi e benzina e appiccarono il fuoco al boschetto. L'incendio, indomabile, durò alcuni giorni e a noi che eravamo a sette chilometri di distanza arrivava sul viso una specie del nostro favonio pugliese".


La liberazione
"La compagnia dell'Organizzazione Todt fu spostata e ripartita in diverse città, sempre a prestare manodopera gratuita a tutti. Fui a Rheinhausen, a Duisburg, a Wessel, a Dinslaken, a Düsseldorf, sempre senza casa e senza letto. Qui, nelle città, i bombardamenti erano terrificanti. Gli aerei da bombardamento americani, i quadrimotori, le famose fortezze volanti, scorrazzavano indisturbati nel cielo a oltre dieci chilometri di altezza. E così, arrivò il 1° aprile 1945, Pasqua e Pesce d'aprile, le SS aprirono il cancello e coraggiosamente scapparono, perché carri armati russi erano arrivati nella cittadina di Lanzendorf. Liberi, durante la notte raggiungemmo a piedi Vienna. La notte del 15 aprile, tra cannonate, bombardamenti, fragore di carri armati, spari, passò il fronte. Ad un tratto silenzio assoluto. Uscimmo dal rifugio e vedemmo i Russi che passavano, per ilsentiero, a piedi, a cavallo, su carri carichi di munizioni, trainati da asinelli, con le armi spianate. Ci salutavano. Era l'alba di una giornata di domenica, splendida di tepore e di sole, senza una nuvola all'orizzonte, in tutti i sensi: era l'alba del 15 aprile 1945. Eravamo usciti vivi dall'inferno. Il 25 aprile 1945 partimmo a piedi da Vienna per Budapest. Era primavera, l'aria era tiepida e noi eravamo felici di essere liberi. Ma soprattutto eravamo vivi. Rientrai in Italia da Tarvisio, il 22 maggio 1945".
Domenico Morra © Tommaso Francavilla
Prof.ssa Angela Morra © Tommaso Francavilla
Domenico Morra, ricordi di vita vissuta © Tommaso Francavilla
Francesco Paolo Dellaquilla © Tommaso Francavilla
Anna Maria Dellaquila e Raffaella Magliocca © Tommaso Francavilla
Mariagrazia Gazzillo © Tommaso Francavilla
Ruggiero Graziano, presidente Anmig Barletta © Tommaso Francavilla
Prof. Luigi Musti e Francesco Paolo Dellaquila © Tommaso Francavilla
Domenico Morra, ricordi di vita vissuta © Tommaso Francavilla
Domenico Morra, ricordi di vita vissuta © Tommaso Francavilla
Domenico Morra, ricordi di vita vissuta © Tommaso Francavilla
Ricordi di vita vissuta © Tommaso Francavilla
Domenico Morra
Nato a Canosa di Puglia il 26.11.1919, frequentò le Scuole Elementari a Sala Consilina (SA) e a Lecce (il padre era agente di custodia). Nel 1932 la famiglia fu trasferita a Matera, dove Domenico frequentò il Ginnasio, con Rocco Scotellaro, e l'Istituto Magistrale. Dopo la parentesi del servizio militare e la prigionia in Germania, insegnò per due anni nella Scuola Elementare Rurale di Serre di Calciano (MT) e poi per dodici anni a Tricarico (MT), dove ritrovò, più volte Sindaco socialista, poeta dei contadini, il carissimo Rocco Scotellaro, che conobbe i suoi bambini Leonardo e Angela, ivi nati. Fu amico di Carlo Levi, già confinato dal regime fascista ad Aliano (MT) dove è sepolto, scrittore, pittore, valente medico dei contadini, senatore della Repubblica, autore del "Cristo si è fermato ad Eboli". Carlo Levi spesso veniva a Tricarico dal suo intimo amico Rocco. Trasferitosi a Barletta nel 1959, insegnò nella Scuola Elementare "San Domenico Savio" fino al 1978. Si è spento serenamente nell'Ospedale di Barletta la mattina del 30.7.2008