Tiziana Palazzo con Libera: «La ferita per l’omicidio di mio marito è ancora aperta»

La vedova Cosmai intervistata a Barletta in occasione di “Cento passi per…”

martedì 18 marzo 2014
A cura di Enrico Gorgoglione
Non bastano ventinove anni, in Italia, per avere giustizia. Non bastano ventinove anni, in Italia per dare la giusta pena a chi la merita, a chi ha stroncato la vita di un giovane direttore di carcere. Dal 1985, la famiglia di Sergio Cosmai aspetta di sapere la verità, aspetta di vedere trionfare la giustizia, magari quella con la G maiuscola, quella che spazza via ogni dubbio, quella che non si fa corrompere da qualche mazzetta. Con la speranza di un cambiamento, qualche giorno fa la professoressa Tiziana Palazzo, vedova di Sergio Cosmai, direttore di carcere nato a Bisceglie e vittima di un agguanto di 'ndrangheta nel 1985, ha parlato davanti ad una platea composta da tanti ragazzi. La manifestazione è stata organizzata dal presidio "Libera" di Barletta presso l'Auditorium Mennea dell'Istituto Cassandro. Ai microfoni di Barlettalife, la vedova Cosmai prova ad intravedere un barlume di speranza, per un mondo che può cambiare proprio a partire dai più giovani:

Professoressa Palazzo, che effetto le fa parlare a tanti giovani di suo marito a quasi trent'anni dalla sua scomparsa dovuta ad un ignobile omicidio di 'ndrangheta?
«A ventinove anni dalla scomparsa in seguito ad omicidio di mio marito l'effetto che ricavo da questi appuntamenti è colmo di speranza. In realtà quello che mi spinge, quando mi invitano ad esserci, è solo la speranza che il mondo, che mio marito voleva cambiare, possa realmente cambiare grazie ad una presa di coscienza da parte dei giovani, da parte dei ragazzi».

Secondo lei, cos'è la mafia nel 2014? Spesso si sente dire che mafia vuol dire stato.
«La mafia certamente ha permeato le istituzioni dello stato, perché altrimenti avrebbe avuto una vita molto più breve, come una vita molto più breve ebbe il fenomeno del brigatismo. Le Brigate Rosse sono state sconfitte perché erano altro dallo stato. Purtroppo le infiltrazioni della mafia nello Stato impediscono che questo fenomeno abbia fine. Il dottor Falcone aveva detto che la mafia, come tutte le cose umane, ha un inizio e una fine, non aveva messo in conto che questi tentacoli mostruosi sono effettivamente troppo potenti perché possano essere in qualche modo tranciati. Bisogna continuare a sperare che avvenga la fine tanto desiderata dai giusti e dagli onesti di questo mostro».

Come si è sentita quando i telegiornali hanno riportato quelle dichiarazioni di Riina in merito all'omicidio Borsellino?
«A me sembra che queste dichiarazioni di Riina siano troppo ingenue. Nutro dei dubbi sulla veridicità di quanto viene riportato, perché dubito che un mafioso di tale calibro difficilmente si lasci andare a dichiarazione di tale portata. Se poi dovesse essere vero che il dottor Borsellino ha, tramite un dispositivo nel citofono della mamma, realmente azionato il detonatore, credo che un gesto così sadico, così orrendo sia ancora più esecrabile che non se una persona altra l'avesse fatto. Sembra di una cattiveria, di una mostruosità, di una malvagità ancora peggiori».

Tornando ancora a quanto è successo alla vostra famiglia, pensa che questa ferita si sia richiusa in tutti questi anni?
«A me talvolta sembra che la ferita si sia richiusa. In realtà poi quando parlo di lui, di quello che è accaduto a noi e alla nostra famiglia, mi accorgo che la ferita è ancora terribilmente aperta. È una perdita veramente incolmabile. Oltretutto, siamo ancora in attesa di una giustizia definitiva, di una sentenza definitiva. Al momento ci sono due sentenze d'ergastolo a carico del mandante, ma non abbiamo ancora la sentenza definitiva di terzo grado da parte della Corte di Cassazione (per la cronaca, la sentenza arriverà il 21 marzo ndr)».