«Vivo la mia sessualità e credo in Dio, dov'è il peccato?»

È cresciuto a Barletta, come seconda casa la Chiesa di San Nicola, adesso è libero di essere se stesso a Milano

lunedì 2 agosto 2021
A cura di Gaia Paolillo
Gioacchino è un ragazzo come tanti, una storia di vita quotidiana che c'era bisogno di raccontare per dare spazio anche ad altre narrazioni relative al rapporto omosessualità – religione.
Mai come in questi tempi, il tema dei diritti della comunità lgbtq+ si è fatto incandescente. Con le continue proroghe del DDL ZAN, Papa Francesco che avrebbe inizialmente mostrato il suo appoggio per le unioni civili, poi la smentita del Vaticano, l'intervento di Draghi nel ricordare che l'Italia è un paese laico. Sono stati mesi ricchi di tensione, tanto da considerare la sicurezza dei diritti di persone come una "questione delicata" e non una questione di priorità.
In questo calderone di incomprensioni, ci sono poi, racconti di quotidianità che possono dimostrarci come anche la Chiesa, nelle sue piccole realtà cittadine, si dimostri pronta.

Gioacchino, per esempio, si è avvicinato alla Chiesa di San Nicola sin da quando era ragazzino, con il sacramento della cresima. Quella grande casa, che aveva come padre Don Vito Carpentiere, l'ha accolto, circondandosi di amici fedeli con cui condividere gli oratori, poi l'insegnamento, affiancando catechiste più esperte di lui, e accompagnando i bambini più piccoli a ricevere il sacramento. Non ha mai smesso di essere attivo in chiesa, di diffondere a suo modo la parola del Signore con l'allegria che lo contraddistingue. Gioacchino, anche detto Cina, parla di perdono, amore, cerca di unire i ragazzi, di creare gruppi e fare rete, «È la cosa che mi caratterizza di più» dice.

Lui e i suoi amici erano sempre attivi in parrocchia, si prendevano cura dei più piccoli, organizzavano serate per celebrare San Nicola, poi spettacoli, viaggi, tutto in nome di una fede e una religiosità che li ha uniti, in cui non era importante chi tu fossi o chi amassi, ma contava solo fare del bene.
«A distanza di anni, ricordo una frase bellissima di Don Vito che mi disse: Milano ti ha disinibito. Ed è vero, qui mi sono sentito più libero. A Barletta ero Cina dell'oratorio, Cina della Chiesa. Dopo 9 anni di attività costante, non sapevo cosa sarebbe potuto succedere».

Col tempo, in modo graduale, Cina incomincia a crescere e a chiedersi di più. Si trasferisce a Milano ed è qui, con il distacco dalla Chiesa e da Barletta, che prende consapevolezza della sua omosessualità. Non perde l'amore per la sua terra, ha iniziato a guardarla con occhi diversi, anche quando ha ricevuto insulti omofobi per strada e li ha denunciati sui suoi canali social.

«Quando? In realtà un quando non c'è, è come se chiedessi ad una persona eterosessuale quando ha capito di esserlo: lo capisci, lo senti dentro. Te lo insegnano tutte le persone che ti circondano: sei maschietto non puoi giocare con le bambole; sei ragazza non puoi giocare a calcio. Tutti stereotipi ed etichette che per fortuna non mi hanno mai appartenuto dato che da piccolo non ho mai giocato a calcio e con mia sorella giocavamo con i giochi condivisi, quindi, sia Barbie che trattori.

Credo che questa fase sia stata importante proprio perché ho appreso il significato della libertà, quella che ti fa essere bambino a tutto tondo, libero di non seguire quelle regole. E forse la mia fortuna è stata anche quella di aver vissuto un'adolescenza serena, senza insulti omofobi. Ero semplicemente Gioacchino e nessuno mai si è permesso di offendermi.

Il mio coming out è avvenuto alla tenera età di 24 anni. Forse anche questo è stato un passaggio importante perché ormai avevo le spalle forti, sapevo e sentivo di essere forte e invincibile, e nessuno avrebbe potuto scalfire la mia felicità: avevo capito chi fossi e cosa volessi e nessuno avrebbe tolto nulla».

La sua testimonianza di persona omosessuale non ha mai scalfito la fede incondizionata che nutre, neanche quando ai telegiornali o al tg ha sentito la Chiesa prendere posizioni su quelli che erano anche i suoi diritti. Nel 2018 ha incontrato quello che affettuosamente chiama Papa Ciccio in Vaticano: «È stato meraviglioso, ad un tratto ho avuto anche l'impressione che i nostri sguardi si siano incrociati» o ancora la Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia nel 2016: «Ho scelto questa avventura per il mio regalo di laurea. Un percorso di fede di due settimane che ho voluto fare per scelta. Qui ho fatto per una settimana il gemellaggio in una famiglia polacca e l'altra a Cracovia in cui ho incontrato per la prima volta il papa».


«Un mio amico sacerdote, Don Domenico Savio Pierro, mi ha dato la forza quando mi disse dove c'è amore, lì c'è Dio. È una frase importante, perché se ci credi davvero che tra due persone c'è un'unione, a prescindere dal loro orientamento sessuale, allora è vero che quell'unione è benedetta dal Signore. E quando una persona ti risponde così come fai a non andare avanti per la tua strada?»

Una testimonianza che ci insegna che si può essere gay, sostenere il DDL Zan ed essere credente, non si tratta di contraddizioni, solo di credi diversi, che possono conciliarsi.