Il racconto di Giuseppe Dileo, in arte Peppe Space, tatuatore di Barletta

Parrucchieri, estetisti e anche tatuatori hanno manifestato ieri per far sentire la propria voce

mercoledì 21 aprile 2021 12.48
A cura di Gaia Paolillo
Con l'insediamento del nuovo governo Draghi c'è stata un ulteriore restrizione: con il primo dpcm firmato dal nuovo premier si metteva in atto la chiusura di queste attività a partire dal 6 marzo.

Nella giornata di ieri si è svolta prima un'assemblea davanti alla sede dell'APAB in via Romania 25, e poi successivamente ne è nata una manifestazione spontanea fuori Palazzo di città.

Abbiamo raccolto la testimonianza di uno dei giovani tatuatori presenti, che oltre ad aver partecipato attivamente alla protesta di ieri, vive sulla propria pelle le conseguenze delle strette e delle chiusure che riguardano questo settore. Vogliamo dar voce, risonanza e la giusta attenzione a chi rinuncia al proprio lavoro, nella speranza che queste parole ci rendano comunemente solidali e che smuovano questa situazione.

«Sono Giuseppe Dileo in arte Peppe Space, tatuatore di 25 anni. In completa autonomia ho investito nella mia attività prima a giugno 2016 e poi a novembre 2019 per l'incremento di lavoro che ho ricevuto. Sono riuscito ad aprire un locale molto più grande con più postazioni per dare la possibilità anche ad altri tatuatori di lavorare in totale sicurezza e professionalità a discapito del lavoro nero. Dopo poco più di tre mesi dall' apertura del nuovo studio e con la chiusura natalizia compresa, a marzo 2020 sono stato costretto a fermare la mia attività.

Dopo un grande investimento, ho riscontrato delle difficoltà che non si sono attenuate con i ristori. Poi, una volta ricevuto il permesso di riaprire in sicurezza, abbiamo dovuto investire in parte su nuovi macchinari di sanificazione come le lastre di protezioni in plexiglass, perché già precedentemente rispettavamo le misure per rendere i luoghi di lavoro igienicamente idonei.

Abbiamo tutto quello che ci serve per poter lavorare in sicurezza, ma non stiamo lavorando. Veniamo indicati come categorie non essenziali, superflue e ci hanno tolto il diritto di lavorare. Senza ristori. Senza risposte adeguate e senza rispetto da parte delle istituzioni.

C'è anche la beffa di vedere gente uscire, divertirsi, assembrarsi senza considerare la zona rossa, quando invece nelle nostre attività si lavora con un cliente per volta. Mentre attività come fiorai, bar, negozi di giocattoli, tabaccai rimangono aperti».

Sorge spontaneo chiedersi se fosse davvero necessario bloccare anche questa attività, andando a incidere negativamente sull'economia e l'imprenditorialità di tutte quelle attività nate in Italia in un momento già economicamente infelice. O magari si poteva considerare l'idea di contingentare gli ingressi – come si stava già procedendo considerando tot. persone per mq - supportata dall'aggiunta delle mascherine, la sanificazione del locale, degli strumenti e il gel igienizzante. Il senso di ingiustizia che è sorto spontaneamente nelle menti dei lavoratori lo si traduce con il pensiero che si poteva fare di più e lo si poteva fare meglio.