Crollo di via Roma, le difese chiedono l'assoluzione

Venerdì verranno ascoltati nuovamente gli imputati

giovedì 19 marzo 2015 9.21
Venerdì si torna in aula per il processo sul crollo di Via Roma del 3 Ottobre 2011 e sarà un'altra udienza dedicata alle difese degli imputati. Nella prima di queste udienze si sono succedute le arringhe degli avvocati Carmine Di Paola, Francesco Mazzola e Domenico Lamantea. Il primo difende Cosimo Giannini, legale rappresentante dell'omonima Srl proprietaria del suolo adiacente la palazzina crollata, ed Antonio Sica, incaricato della sorveglianza del cantiere. Gli altri due assistono i fratelli Salvatore, Andrea e Giovanni Chiarulli, rispettivamente legale rappresentante dell'impresa esecutrice dei lavori per la bonifica dell'area Giannini e maestranze-dipendenti della ditta di Salvatore.

Entrambe le difese hanno chiesto al Tribunale di Trani per l'assoluzione dei quattro imputati per cui il pubblico ministero Giuseppe Maralfa ha chiesto la condanna; al pari degli altri undici imputati accusati a vario titolo del crollo e dunque della morte di Matilde Doronzo, Giovanna Sardaro, Antonella Zaza, Tina Cenci e Maria Cinquepalmi. Secondo l'avvocato Di Paola, Giannini «non aveva alcun interesse economico a che la demolizione fosse realizzata con mezzi meccanici e non piuttosto a mano, in quanto "tutelato" da un contratto di appalto stipulato con l'impresa edile Chiarulli, in forza del quale era stabilito un corrispettivo a corpo per le opere di demolizione, determinato in 44mila euro più iva. Pertanto - per il legale - comunque fosse stata svolta la demolizione, avrebbe sempre pagato lo stesso importo. Giannini non aveva, neppure esigenza di sveltire l'esecuzione dei lavori di pulitura del cantiere, in quanto esso era fermo da circa tre anni (dicembre 2008) e non sussisteva possibilità di riprendere l'attività edilizia in mancanza di un progetto strutturale che doveva ancora essere licenziato dal Genio Civile di Bari».

In merito alla posizione di Sica, il legale barlettano ha sostenuto, che fosse «unicamente il contabile delle imprese di Giannini, privo di qualsivoglia competenza tecnica in materia edile». Per Di Paola, inoltre, il Tribunale non può ordinare la confisca del terreno (ulteriore richiesta del pm Maralfa) «perché non esiste alcuna lottizzazione abusiva e soprattutto perché il terreno è ancora in proprietà degli Eredi Palmitessa, danti causa di Giannini». Richiesta di assoluzione è giunta anche dagli avvocati Mazzola e Lamantea per tutti i 3 fratelli Chiarulli. Per i legali le conclusioni cui è giunto il pm sono «erronee ed antigiuridiche sia nel valutare la posizione processuale dei fratelli Chiarulli, sia nell'equiparare la richiesta delle pene "rispetto a quelle di altri imputati (Giovanni Paparella Giovanni, in primis) la cui condotta precedente, contemporanea e successiva alla commissione del reato, non giustifica tali conclusioni rendendole contraddittorie ed illogiche» – hanno sostenuto i difensori di Chiarulli.

«Si progetta l'intervento – hanno detto i difensori - lo si correda di una relazione fasulla ma credibile, che nessuno in ambito comunale verifica nella sua correttezza ed adeguatezza, e si manda letteralmente "al macello" non l'impresa Giannini, interessata unicamente a gestire l'operazione sotto il profilo finanziario e commerciale, ma un piccolo artigiano edile, Salvatore Chiarulli, coi suoi collaboratori ed operai. A Febbraio 2008 l'architetto Paparella descrive nella propria relazione tecnica le caratteristiche dello stabile da demolire, considerato falsamente e/o erroneamente come singolo edificio, strutturalmente autonomo e dunque come tale passibile di intervento nei termini autorizzati dal consiglio comunale di Barletta. Su tali presupposti, e parallelamente, il geom. Zagaria (componente del medesimo studio di progettazione dell'arch. Paparella) redige il piano delle demolizioni, nel quale compare l'impresa Giannini e non ancora l'impresa Chiarulli Salvatore». Per Mazzola e Lamantea tutti i Chiarulli «hanno agito in assoluta buona fede e comunque ignorando legittimamente le madornali omissioni e gli errori presenti a monte. L'ordine di ripresa dei lavori di demolizione – hanno messo nero su bianco i legali dei Chiarulli - fu dato da Paparella, quale direttore dei lavori, e dal committente Giannini peraltro coordinatore dei lavori». I difensori hanno, inoltre, evidenziato la presunta disparità di trattamento nel corso delle indagini preliminari tra la posizione dei Chiarulli e quella proprio dell'architetto Paparella.