Coronavirus: cosa racconteremo ai nostri nipoti

Il bello e il brutto, a Barletta (e in Italia), nei giorni dell’emergenza

lunedì 16 marzo 2020 11.15
A cura di Cosimo Campanella
Barletta, anno 2044. Chi vi scrive è un arzillo pensionato sociale il cui orologio biologico corre inesorabile verso la settantina e che pian piano sta acquisendo con la cardio-aspirina la stessa dimestichezza con la quale oggi maneggia fotocamere e software di montaggio video.

Suonano al mio citofono: è la mia nipotina. Una splendida bambina bionda dagli occhi verdi, accompagnata da un ragazzone trentenne abbondantemente sul metro e ottanta: mio figlio. Quest'ultimo è particolarmente indispettito dall'insistenza con la quale la piccola ha voluto a tutti i costi andare dal nonno, nonostante fosse stata a letto con febbre e tosse fino a due giorni prima. "Dai nonno, non è mica il Coronavirus!!!". Mi dice lei per giustificarsi. Poi mi fa una domanda: "A proposito nonno, perché non mi racconti cosa successe nei giorni del Coronavirus?". Al che, come ogni vecchio decrepito che si rispetti, buono solo a pesare sui conti pubblici con la sua pensioncina da quattro soldi (ah, se ci fosse ancora il Coronavirus!!!), cedo e le racconto quel che stiamo vivendo in questi difficili giorni.

Le racconto che tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020, una brutta influenza originata dal contatto tra uomo e animali d'allevamento iniziava a diffondersi in Cina mietendo contagi e vittime ad un ritmo impressionante. Una brutta influenza che in tanti, in Italia come in Occidente, abbiamo sottovalutato, abituati come eravamo a concepire i cinesi tutto sommato come buoni solo a fabbricare scarpe e maglioni, quindi non in grado di fronteggiare un'epidemia, come già accaduto con la SARS e l'aviaria. Poi la brutta influenza è arrivata a Lodi, in Lombardia e iniziammo un po' a preoccuparci, ma non più di tanto, perché la brutta influenza era ancora lontana. E poi, come diceva qualcuno: "In fondo in fondo il Nord se lo merita, perché odia il Sud". A questo punto lei mi blocca e mi chiede: "nonno, perché il Nord odia il Sud". Le rispondo io: "Perché gli idioti ci sono dappertutto, e tra gli idioti ci metto anche quelli che dicono che il Nord odia il Sud". Continuo poi il mio racconto narrandole di come, tra politici dal selfie facile, cretini che credevano di fermare il virus coi libri sulla bocca, opinionisti abili a trasformare rancori personali in brillanti carriere giornalistiche, e gente che badava più a non offendere francesi e tedeschi, nonostante come italiani fossimo da questi ultimi sistematicamente offesi da qualche decennio, le istituzioni non riuscivano a decidere celermente su come arginare l'epidemia.

E poi c'era Barletta. La nostra Barletta. La città in cui, nonostante gli accorati appelli di un sindaco tra l'altro ex primario d'ospedale, più di qualcuno faceva fatica a rinunciare temporaneamente a "strette necessità" come la tintarella fuori stagione, il caffè al ginseng, o la corsetta a Ponente. A questo punto la piccola peste mi fa: "Nonno, scusami. Ma con tutta questa gente che creava scompiglio, come avete fatto a venirne fuori?".

La mia risposta è la seguente: "Vedi piccola mia, l'Italia è un grande paese e Barletta è una fantastica città. Una città che, come l'Italia tutta, quando è stata messa duramente alla prova dalla storia ha sempre mostrato il suo lato migliore. Una città e una nazione, dove per ogni poveraccio che se ne frega delle regole, c'erano dieci bambini come il tuo papà che sui loro disegni scrivevano 'andrà tutto bene', e tanti, tantissimi come tuo nonno e tua nonna che costringevano i vostri bisnonni a restare a casa per il loro bene. Perché piccola mia, è facile, facilissimo darsi al menefreghismo e alla spavalderia in tempi di pace. Ma è in tempi difficili che chi rispetta le regole fa grande Barletta e fa grande l'Italia. Fu così che sconfiggemmo quel maledetto mostro del Coronavirus".

Bello vero? Lo so, è un racconto di fantasia, ma auguro a tutti voi lettori di raccontare questa storia , naturalmente vera, ai vostri nipoti.