Capolavoro all'orto botanico, una firma sul monumento all'inerzia

Tre gradi di indignazione in cerca d'autore

lunedì 19 maggio 2014 9.10
A cura di Mario Sculco
Cammino volentieri per la città che tutto sommato mi piace e continua a piacermi, poi talvolta arrivo nei pressi dell'orto botanico: una zona che sembra attirare tutte le sfortune. Localizzato nelle strette vicinanze di situazioni al limite della legalità, ed esso stesso monumento all'imperizia (o all'inerzia, ad esser buoni) ha un unico pregio: sta lì. Immutabile, fonte di problemi, statico, immobile. Alla fine ci si abitua, ci si vede addirittura il buono (tutto declinato al futuro, al "quando aprirà sarà bello", ma tant'è).

Ora però pretendo il diritto di indignarmi, senza far crociate. Un'indignazione nell'indignazione, come nelle scatole cinesi. Mi fermo nei pressi del muro d'ingresso e come un turista qualsiasi (scherzo eh, turisti da quelle parti... è più probabile che ci siano fantasmi nell'ex distilleria) scatto fotografie a uno dei migliori prodotti dell'arte locale, quasi un'installazione post moderna alla Banksy, tanto orrenda da essere geniale nella sua denuncia, pur da inconsapevole teppista.

Strana opera d'arte si erge sui limpidi muri dell'orto botanico © Mario Sculco
Vedo questo bel prodotto locale, e mi figuro vari livelli di indignazione. Il primo riguarda quella testa di… murales che ha deciso, un bel giorno, di sgombrare i pochi neuroni rimasti e fare ordine prima dell'imminente tabula rasa, armarsi di spray rosso e tentate di nobilitare orto botanico e cultura mondiale (immaginate con che fierezza costui, ripassando nei pressi, osserva il suo capolavoro). Il secondo riguarda questa cattedrale botanica in un deserto abitato da graffitari spiccioli. Sta lì, e alla lunga la sua spenta staticità genera mostri. Il terzo, è la situazione di illegalità e degrado che quello spicchio di area urbana sembra generare. Non ci si farebbe volentieri una passeggiata.

Insomma non ci sto, ma non ho consigli, né giudizi tanto quel che vedo è avvilente. Quello che so e grido è che si tratta di un'immagine orrenda che offriamo a tutti, soprattutto a noi stessi che camminiamo volentieri per la città e riflettiamo quanto spesso siamo ostaggio di una barlettanità becera e inerte.