Barletta non può permettersi un deserto industriale, l'intervento di Aldo Musti
Le parole dell'imprenditore della zona merceologica
venerdì 17 ottobre 2025
14.10
«In questi giorni si torna a parlare della chiusura della Vingi Shoes. Ma non è solo un'azienda che chiude: è un campanello d'allarme per l'intero sistema produttivo del nostro territorio. La crisi del manifatturiero a Barletta non comincia oggi e non si risolverà domani. È da tempo che la zona industriale perde la sua vocazione originaria. Troppe aziende si ridimensionano, delocalizzano o chiudono. Le cause sono tante: dalla competizione internazionale ai costi di produzione, ma anche infrastrutture carenti, servizi pubblici inadeguati e troppa burocrazia. Il manifatturiero, come spesso si dice, è un treno in corsa: ha lasciato il Nord Europa, ha attraversato l'Italia, si è spostato in Romania e Albania, e oggi viaggia verso mercati più economici come India e Cina». Così l'imprenditore della zona merceologica Aldo Musti.
«E noi? Siamo rimasti a guardare quel treno allontanarsi. Ma invece di cercare colpevoli, serve una riflessione più profonda. Invece di processare imprenditori che hanno creduto per decenni in questa terra – offrendo occupazione e crescita – domandiamoci:
Cosa è stato fatto per evitare queste chiusure? E cosa si intende fare adesso per rilanciare davvero Barletta? Ho iniziato anch'io nel manifatturiero, quasi cinquant'anni fa. I primi quattro anni li ho vissuti dentro le fabbriche, prima di intraprendere un percorso imprenditoriale lungo e non privo di ostacoli. So bene cosa significa costruire impresa in un Sud che spesso ti lascia solo. E proprio per questo credo sia urgente uscire dalle polemiche e costruire soluzioni. Barletta ha bisogno di un progetto industriale vero. Di una strategia che tenga insieme imprese, lavoratori, istituzioni e cittadini.
Un patto per la rigenerazione produttiva, l'innovazione, le competenze, il lavoro. In questo senso, il nuovo PUG di Barletta può rappresentare una prima occasione concreta per invertire la rotta. Non solo uno strumento urbanistico, ma una visione strategica per il futuro: che metta al centro le aree produttive, favorisca l'insediamento di nuove imprese, incentivi la transizione ecologica e digitale, e valorizzi il nostro capitale umano. Perché senza lavoro, non c'è futuro.
Il tempo delle parole è finito. È tempo di scelte, concrete e condivise».
«E noi? Siamo rimasti a guardare quel treno allontanarsi. Ma invece di cercare colpevoli, serve una riflessione più profonda. Invece di processare imprenditori che hanno creduto per decenni in questa terra – offrendo occupazione e crescita – domandiamoci:
Cosa è stato fatto per evitare queste chiusure? E cosa si intende fare adesso per rilanciare davvero Barletta? Ho iniziato anch'io nel manifatturiero, quasi cinquant'anni fa. I primi quattro anni li ho vissuti dentro le fabbriche, prima di intraprendere un percorso imprenditoriale lungo e non privo di ostacoli. So bene cosa significa costruire impresa in un Sud che spesso ti lascia solo. E proprio per questo credo sia urgente uscire dalle polemiche e costruire soluzioni. Barletta ha bisogno di un progetto industriale vero. Di una strategia che tenga insieme imprese, lavoratori, istituzioni e cittadini.
Un patto per la rigenerazione produttiva, l'innovazione, le competenze, il lavoro. In questo senso, il nuovo PUG di Barletta può rappresentare una prima occasione concreta per invertire la rotta. Non solo uno strumento urbanistico, ma una visione strategica per il futuro: che metta al centro le aree produttive, favorisca l'insediamento di nuove imprese, incentivi la transizione ecologica e digitale, e valorizzi il nostro capitale umano. Perché senza lavoro, non c'è futuro.
Il tempo delle parole è finito. È tempo di scelte, concrete e condivise».