Anche Barletta piange la morte del regista Franco Zeffirelli

L'intervento del giornalista Nino Vinella

sabato 15 giugno 2019 18.50
Riceviamo e pubblichiamo l'intervento del giornalista barlettano Nino Vinella nel giorno della scomparsa del regista Franco Zeffirelli. «A Barletta la notizia della morte di Franco Zeffirelli: omaggio fra commozione, rimpianto e nostalgia. Nostalgia: per quei quaranta lunghissimi, interminabili giorni a cavallo di ottobre 1985 quando il grande regista trasformò il Castello in set cinematografico internazionale per girarvi le riprese del suo monumentale "Otello" verdiano. Rimpianto: per aver sprecato quella irripetibile opportunità di valorizzare il nostro patrimonio culturale nella vetrina della grande Cultura italiana con la firma, l'aiuto, l'amore di un maestro par suo sciaguratamente dimenticato da ogni amministrazione comunale negli anni successivi.

In quel 1985, la "fortezza bianca" restò chiusa, appena dopo il lungo restauro, per trasformarsi in set cinematografico di altissimo rango internazionale. Girarci un film non era la prima volta: illustre precedente ventun anni prima, quando nel 1964 fu Pier Paolo Pasolini a volerlo per alcune importanti sequenze (il giudizio di Pilato) del suo post-neorealista "Vangelo secondo Matteo" in bianco e nero. Ma con Zeffirelli la storia andò molto diversamente: a scegliere il castello di Barletta fu proprio lui, lui che da studente universitario di architettura a Firenze se lo ricordava abbastanza diverso da come se lo ritrovò nel sopralluogo condotto in gran segreto con Vittorio Palumbieri, all'epoca direttore dell'azienda soggiorno e turismo. Zeffirelli, guardandosi intorno nell'arena del castello, fu quasi tentato di rinunciare ("Castello restaurato malissimo, troppo cemento a vista" ebbe a sottolineare, senza peli sulla lingua a modo suo, più volte nelle interviste che ne seguirono a tutta la stampa mondiale, e replica del prof. Grisotti che lo aveva restaurato). Ma quando scese nei sotterranei, confermò l'idea alla produzione e al sindaco Aldo Bernardini.

Infatti Zeffirelli, nelle segrete del nostro castello, oggi luogo d'incontro culturale e spazio espositivo con tanto di parquet, aveva immaginato e dunque deciso di dare corpo e fisicità alle principali scene del suo monumentale "Otello" sulle musiche di Giuseppe Verdi, il film-opera prodotto da Golan Globus, gigante del cinema americano che davvero non badò a spese per garantire al regista la massima capacità di manovra finanziaria e logistica. Erano quei sotterranei nudi, deserti, dalle volte come cattedrali senza nessun orpello, con la pietra grezza e ruvida, appena lambita dalla salsedine esattamente come li voleva Zeffirelli: che affidò allo scenografo il compito di trasformarli con apparati di scena, vedi la scalinata elicoidale dove Otello incontra Iago, o nell'antro dove lo stesso Iago intona il suo "credo" ateo ad un Dio crudele. Oppure la scalea di accesso ingigantita da sculture di scena, la sala circolare del bastione ovest divenuta il salone di Otello. Ci lavorò tutta una corte di operai specializzati e di maestranze dal mondo del cinema. Vicino alla sala rossa c'era la sala trucco-parrucco, ed un esercito di comparse furono visionate per indossare armature e panni rinascimentali storicamente molto vicini all'epoca della Disfida.

Zeffirelli giunse in gran segreto, ma io ne scrissi un pezzo il giorno dopo sulla Gazzetta in Terra di Bari, e quell'annuncio portò bene alla mia ancora giovane esperienza di cronista e di corrispondente. Tanto bene che, seguendo il regista durante tutte le riprese, durante un mese intero, dentro e fuori il castello fino all'orto che esisteva sul versante a mare, parve a tutti noi di riscoprire il castello in perfetta armonia con la trama shakespeariana che Verdi affidava alle sue immortali partiture. Si, quello di Barletta era il castello del Moro di Venezia… Nel 1984, si era da poco celebrato il centenario dell'Otello verdiano nel Teatro alla scala, e la direzione dell'orchestra della Scala fu affidata a Lorin Maazel, con un cast di rango davvero internazionale: Placido Domingo nei panni del Moro di Venezia e una diafana Katia Ricciarelli come la Desdemona bionda e sofisticata. Jago era lo spagnolo Justino Diaz, il principe Urbano Barberini nel ruolo di Cassio. Intorno a loro la costumista Anna Anni, direttore della fotografia Ennio Guarnieri e Gianni Quaranta scenografo.

Franco Zeffirelli amava passeggiare con la sua cagnetta per le stradine del centro storico di Santa Maria, e da turista curioso visitò il museo civico all'epoca in Palazzo San Domenico (oggi vuoto contenitore in corso Cavour) tutte le collezioni esposte, pezzo per pezzo, dal busto di Federico II all'ingresso ma commuovendosi davanti alle opere di Giuseppe De Nittis nella galleria del chiostro, rammentando nell'ultima intervista che mi concesse il suo stupore di bambino davanti al quadretto dipinto dal pittore barlettano ed ammirato in casa del nonno a Firenze… Il regista, che col resto della troupe risiedeva all'hotel Artù dirimpetto al castello, fu invitato dai Lions in un superbo meeting al Brigantino. Dove, a una domanda pettegola dall'elegante pubblico della serata, si lanciò senza pensarci due volte nell'indiscrezione che rompeva il segreto ormai non più tale, e che l'indomani fece il giro di tutte le prime pagine italiane, annuncio a sorpresa ascoltato dal sottoscritto, presente in sala, e dettato pari pari cinque minuti dopo agli stenografi della nostra Gazzetta verso mezzanotte del 27 ottobre 1985: Katia Ricciarelli andava fidanzata con Pippo Baudo! Davvero altri tempi…».