Barletta, dalla costruzione alla castrazione: analisi di un addio

Libertà di dire basta e “mea culpa” in via Vittorio Veneto

sabato 23 novembre 2013 22.27
A cura di Luca Guerra
A mente fredda, per ragionare tra recente passato, stringente attualità e delicato futuro della S.S. Barletta Calcio, partiamo da una considerazione di base. Ogni imprenditore, nel momento in cui si rende conto che a suo parere le energie fisiche ed economiche investite stanno superando in misura importante soddisfazioni e gratificazioni, è libero e ha il sacrosanto diritto di fare un passo indietro o dire basta. L'essenziale è non avanzare una caccia agli spettri, ma pianificare serenamente il futuro. Il tempo c'è, e non cancella quanto di buono fatto. Vale per ogni azienda, vale per la società biancorossa, dove il presidente Roberto Tatò, dopo 38 mesi alla guida del club, ha ufficialmente deciso di dire "basta" a fine stagione e lo ha fatto nella conferenza a porte aperte tenuta giovedì pomeriggio in un hotel cittadino": una decisione, a detta dello stesso protagonista, irremovibile e irrevocabile.

Libertà di andare via, non di additare colpe
Il patron del sodalizio biancorosso mette quindi un paletto alla sua avventura in sella al Barletta Calcio: 30 giugno 2014 è la dead-line. Nel mezzo, di qui a quella data, sarà lecito attendersi e augurarsi incontri con amministrazione comunale, acquirenti o interessati che si presenteranno alle porte del "Puttilli", verifica di interessi e distinzione tra trattative e "bluff". Tutto per il bene del Barletta, ha assicurato Tatò: passa in secondo piano il campo-dove saranno ammesse solo trattative di mercato a saldo zero tra "entrate" e "uscite", mentre resta un antico refrain, già vissuto durante la gestione-Tatò: la ricerca di colpevoli per il suo addio, spesso lontani di via Vittorio Veneto e identificati nella stampa locale, antico bersaglio, e nella tifoseria "organizzata", passo poi corretto dal numero uno biancorosso che ha suscitato le risposte dei sostenitori biancorossi presenti. E' logico quanto umano associarsi a chi adduce al suo addio motivi di salute ed economici, meno comprendere questa necessità di togliersi spine ogniqualvolta si parla in pubblico. Molti pensavano che quello di Tatò fosse un "al lupo, al lupo", una chiamata al senso di responsabilità nei confronti dei suoi collaboratori. Nulla di tutto ciò: parola "fine"- o in eventualità remota, in caso di permanenza con quota minoritaria, addio alla carica di proprietario e presidente- procrastinata al 30 giugno 2014. Un peccato aver salutato con tanta voglia di rivalsa e scarso costrutto.

Effetto-domino
La logica e prevedibile conseguenza, con un ambiente occupato da circa 150 persone e in un clima già surriscaldato dai deludenti risultati e da un silenzio durato a lungo che aveva fatto crescere morbosamente l'attesa per le parole e le decisioni di Tatò, è stata la trasformazione per alcuni minuti della location in un'arena "omnium contra omnes", tutti contro tutti: qualche tifoso se l'è preso con i giornalisti presenti, altri hanno chiesto lumi al presidente per il loro "coinvolgimento" nella lista dei "colpevoli" o presunti tali, qualcun altro ha anche difeso la stampa. Tutto limitato al piano verbale, va precisato. Ma sarebbe stato bello salutare con una volontà di riunire la società e le componenti che vi ruotano intorno verso il futuro e ricordando solo le cose belle, invece questa vena polemica- che ha visto l'utilizzo di termini pesanti come "masochistica soddisfazione della città" e "critiche feroci"- ha portato a Roberto Tatò anche un lieve calo nei consensi della piazza biancorossa. Sul viale del tramonto resta il comunicato congiunto di Gruppo Erotico 1987, la Curva Nord Barletta e tifoseria, che hanno scritto ieri sera del "merito di non essersi mai arresi e piegati alla dittatura fallimentare del duo Tatò-Martino, continuando insistentemente e incondizionatamente a trasmettere alla città entusiasmo e passione, mettendoci in prima persona faccia, soldi, fatica e sacrifici, sostenendo ogni domenica la squadra in qualsiasi parte dell'Italia". Non proprio un commiato d'amore con la piazza, insomma.

Via Vittorio Veneto: nessun colpevole, nessun "mea culpa"
In questa storia non c'è un grande "colpevole" o tanti "colpevoli", ma tanti fattori e concause, ognuna con il suo peso specifico. Il campionato di "castrazione"- così come il presidente del Barletta Calcio l'ha ribattezzato- (7 punti in 12 partite, una vittoria contro un Gubbio in doppia inferiorità numerica, 4 pareggi e 6 sconfitte, pochissime gioie e tante delusioni) che la rosa messa a disposizione di mister Nevio Orlandi ha partorito sul rettangolo verde è stato probabilmente la goccia che ha fatto traboccare un vaso già denso di crepe come quello plasmato da Roberto Tatò alla guida del Barletta Calcio. Dal progetto estivo, dalla voglia di costruire, si è passati alla mancata presenza di necessarie quanto solide basi: una "castrazione" in piena regola, da e verso il rettangolo verde, alla quale ha paradossalmente corrisposto l'assenza di un pubblico "mea culpa" da parte di chi rappresenta via Vittorio Veneto e una strenua difesa dell'operato del dg Martino, forte di un duraturo contratto in biancorosso e di un giudizio in contrasto con la media degli "stakeholders" barlettani. Intanto, il futuro biancorosso è iniziato: una sola certezza, la dead-line del 30 giugno 2014, e tanti dubbi e ipotesi nel mezzo. Intanto domani si va a Benevento, ed è quasi un bene che si torni a parlare di calcio giocato. Tanto, tempo e spazio per le parole, necessarie o fuori posto che siano, ce ne sarà. L'essenziale è evitare che la castrazione del Barletta divenga un'evirazione, di attributi e risultati dentro e fuori dal campo.
(Twitter: @GuerraLuca88)