Barletta Calcio, il pesce puzza dalla testa
Lo 0-2 con il Viareggio mette a nudo limiti di squadra e Orlandi
domenica 17 novembre 2013
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E' quasi destino che il Viareggio non debba essere un avversario casuale per il Barletta: nella stagione 2010-2011, con il pareggio per 1-1 in Versilia, i biancorossi avvicinarono in maniera decisiva la salvezza. L'anno scorso, Stringara diede l'addio alla panchina per il ritorno di Novelli dopo lo 0-3 dello stadio "Dei Pini", mentre il poker rifilato ai toscani nel match di ritorno consegnò a Dezi e compagni la sicurezza della disputa dei playout in terz'ultima posizione. Ieri, lo 0-2 incassato al "Puttilli" ha aggiornato il dato della peggiore prestazione interna stagionale e gettato profonde ombre su presente e futuro tecnico dei biancorossi, oggi 15esimi con soli 7 punti dopo 12 incontri di campionato nel girone B di Prima Divisione. "Bisogna saper perdere" cantavano The Rokes nel 1967: se in quelle note ci si riferiva alla capacità di accettare la sconfitta, cambiando l'interpretazione del verbo, il ritornello è adattabile al Barletta di oggi. C'è modo e modo di perdere, e quello in cui la sconfitta è maturata ieri è dura, molto dura da accettare. Tutti dietro la lavagna, per una domenica di profonda riflessione.
Privi di identità
La realtà del campo, a sette giorni di distanza dal primo successo di Gubbio, che aveva portato ottimismo, forse troppo al netto di una vittoria arrivata in condizioni favorevoli (vedi due espulsi nelle file umbre dopo 15' di gioco), ha consegnato un Barletta spento, abulico, passivo in fase difensiva e incapace di mordere l'avversario nei 16 metri. A sentire Orlandi, non c'è da preoccuparsi, è questione di tempo. Ma l'impressione è che a tre mesi dall'avvio della stagione, giorno più giorno meno, questo Barletta non abbia una vera identità, caratteriale e di gioco. "Siamo una squadra che gioca di rimessa, non abbiamo ancora la qualità per impostare una partita offensiva in casa. Quando giochi contro un avversario che gioca nel tuo stesso modo, è difficile fare bene" ha spiegato l'allenatore di Casalmaggiore nel dopo-gara: considerazione dal retrogusto amarissimo, se fatta dopo una partita giocata contro un avversario formato da nove "under 23" e due volpi come Gazzoli e Vannucchi, con quest'ultimo che ha fatto la differenza. E non possono bastare come attenuanti le assenze di D'Errico e Allegretti.
Vivacchiare? Non nelle intenzioni, sì nei fatti
Sono ancora presenti nelle orecchie di critica e tifoseria le parole dell'abbrivio dell'estate 2013, che assicuravano dal vertice come il Barletta non volesse "vivacchiare" in un torneo privo di retrocessioni, dove il rischio di giocare senza motivazioni era dietro l'angolo. Tatò, Martino e lo staff avevano assicurato una squadra competitiva, che puntasse al nono posto, o che in alternativa perlomeno valesse il prezzo del biglietto. Bene, a metà novembre, dopo 1/3 abbondante di campionato, possiamo dire che raramente questo Barletta è stato in campo: i fatti dicono che oggi al "Puttilli" più che vivacchiare, si è sonnecchiato, se non fischiato lo spettacolo messo in mostra. E di questo ne han colpa i giocatori, che ieri sono mancati di grinta, la caratteristica fondamentale per supplire a ogni limite, chi li manda in campo, che non ha trasmesso i necessari diktat e le idee di gioco, e chi li ha scelti: la squadra è a otto punti dal nono posto, e se l'andazzo non muterà, il divario è destinato ad aumentare in maniera evidente. Vedere giocare in questa maniera la squadra non serve a nessuno e la sensazione è che si possa essere alla pari con gli altri solo giocando "al 200%", come detto dal portiere Liverani in conferenza stampa. E il rischio è di vedere sempre meno gente allo stadio, come i numeri già stanno testimoniando.
Coperta corta, il leit-motiv ritorna
Una delle evidenze che oggi è difficile negare dalle parti di via Vittorio Veneto riguarda la carenza di alternative offerte dall'organico, nodo aggrovigliato e presente sin dall'estate, spesso minimizzato ma comprovato dai fatti. Un ultimo esempio? La risposta di mister Orlandi a chi ieri gli chiedeva in Sala Stampa perché non avesse sostituito Cicerelli, autore di una deludente prestazione. "Non abbiamo calciatori offensivi in alternativa, bisognerebbe stravolgere tutto, non si può fare in questo momento. Cicerelli ha nelle sue corde lo spunto, alla fine ho schierato a fine partita gli attaccanti a disposizione". Allora viene quantomeno lecito chiedersi: perché portare in panchina un classe '98 come Guglielmi, difensore centrale, e sacrificare Mastroberti- esterno offensivo della "Berretti"- in tribuna? La scelta appare, almeno sulla carta, poco spiegabile, anche se nessuno può dirci che alla prova dei fatti il risultato sarebbe stato diverso. La coperta biancorossa resta molto corta, e con l'inverno che si appresta ad arrivare, si rischia di restare "freddati" sul rettangolo verde.
Il pesce puzza dalla testa
Allargando il discorso oltre il ko contro le zebre toscane, l'orizzonte biancorosso resta plumbeo, in campo e fuori: la squadra non supera il terzultimo posto da quasi un anno e mezzo, ormai, e appellarsi all'ambiente ostile (vedi le diatribe con la stampa locale) piuttosto che alla sfortuna o alla programmazione necessaria di tempi lunghi lascia il tempo che trova. La sensazione è che il pesce puzzi dalla testa: i calciatori hanno le loro colpe, ma senza una buona selezione iniziale, è difficile ottenere buoni frutti. E in assenza delle doverose e attese parole del presidente Tatò, le spiegazioni e le reazioni vanno fornite e formulate dal duo Martino-Orlandi, tanto osannato dopo la salvezza di giugno quanto nel mirino oggi. Ieri, al fischio finale, il dg biancorosso è stato subissato di fischi mentre percorreva da solo la porzione di rettangolo verde che conduce dalle tribune agli spogliatoi: quasi una metafora del momento, in cui la barca costruita con il presidente manca di uno dei due timonieri, e chissà se li rivedrà mai entrambi insieme alla guida. Se Martino crolla negli indici di gradimento, più saldo si vede Orlandi in vista della trasferta di Benevento, in programma domenica prossima. "Lavoro tranquillamente, dove intendo essere sereno del mio lavoro: a 60 anni non sono nè alla ricerca di una possibilità di fare carriera- ha spiegato ieri- Le mie esperienze, la mia serietà e la mia competenza sono riconosciute. Il progetto è quello di valorizzare calciatori di proprietà, l'abbiamo sposato e portato avanti". Lentamente le ambizioni di nono posto scompaiono dalle parole, oltre che dal campo, e l'amarezza per quello che poteva essere e oggi non è il progetto biancorosso cresce. Buona domenica di riflessione, S.S. Barletta.
(Twitter: @GuerraLuca88)
Privi di identità
La realtà del campo, a sette giorni di distanza dal primo successo di Gubbio, che aveva portato ottimismo, forse troppo al netto di una vittoria arrivata in condizioni favorevoli (vedi due espulsi nelle file umbre dopo 15' di gioco), ha consegnato un Barletta spento, abulico, passivo in fase difensiva e incapace di mordere l'avversario nei 16 metri. A sentire Orlandi, non c'è da preoccuparsi, è questione di tempo. Ma l'impressione è che a tre mesi dall'avvio della stagione, giorno più giorno meno, questo Barletta non abbia una vera identità, caratteriale e di gioco. "Siamo una squadra che gioca di rimessa, non abbiamo ancora la qualità per impostare una partita offensiva in casa. Quando giochi contro un avversario che gioca nel tuo stesso modo, è difficile fare bene" ha spiegato l'allenatore di Casalmaggiore nel dopo-gara: considerazione dal retrogusto amarissimo, se fatta dopo una partita giocata contro un avversario formato da nove "under 23" e due volpi come Gazzoli e Vannucchi, con quest'ultimo che ha fatto la differenza. E non possono bastare come attenuanti le assenze di D'Errico e Allegretti.
Vivacchiare? Non nelle intenzioni, sì nei fatti
Sono ancora presenti nelle orecchie di critica e tifoseria le parole dell'abbrivio dell'estate 2013, che assicuravano dal vertice come il Barletta non volesse "vivacchiare" in un torneo privo di retrocessioni, dove il rischio di giocare senza motivazioni era dietro l'angolo. Tatò, Martino e lo staff avevano assicurato una squadra competitiva, che puntasse al nono posto, o che in alternativa perlomeno valesse il prezzo del biglietto. Bene, a metà novembre, dopo 1/3 abbondante di campionato, possiamo dire che raramente questo Barletta è stato in campo: i fatti dicono che oggi al "Puttilli" più che vivacchiare, si è sonnecchiato, se non fischiato lo spettacolo messo in mostra. E di questo ne han colpa i giocatori, che ieri sono mancati di grinta, la caratteristica fondamentale per supplire a ogni limite, chi li manda in campo, che non ha trasmesso i necessari diktat e le idee di gioco, e chi li ha scelti: la squadra è a otto punti dal nono posto, e se l'andazzo non muterà, il divario è destinato ad aumentare in maniera evidente. Vedere giocare in questa maniera la squadra non serve a nessuno e la sensazione è che si possa essere alla pari con gli altri solo giocando "al 200%", come detto dal portiere Liverani in conferenza stampa. E il rischio è di vedere sempre meno gente allo stadio, come i numeri già stanno testimoniando.
Coperta corta, il leit-motiv ritorna
Una delle evidenze che oggi è difficile negare dalle parti di via Vittorio Veneto riguarda la carenza di alternative offerte dall'organico, nodo aggrovigliato e presente sin dall'estate, spesso minimizzato ma comprovato dai fatti. Un ultimo esempio? La risposta di mister Orlandi a chi ieri gli chiedeva in Sala Stampa perché non avesse sostituito Cicerelli, autore di una deludente prestazione. "Non abbiamo calciatori offensivi in alternativa, bisognerebbe stravolgere tutto, non si può fare in questo momento. Cicerelli ha nelle sue corde lo spunto, alla fine ho schierato a fine partita gli attaccanti a disposizione". Allora viene quantomeno lecito chiedersi: perché portare in panchina un classe '98 come Guglielmi, difensore centrale, e sacrificare Mastroberti- esterno offensivo della "Berretti"- in tribuna? La scelta appare, almeno sulla carta, poco spiegabile, anche se nessuno può dirci che alla prova dei fatti il risultato sarebbe stato diverso. La coperta biancorossa resta molto corta, e con l'inverno che si appresta ad arrivare, si rischia di restare "freddati" sul rettangolo verde.
Il pesce puzza dalla testa
Allargando il discorso oltre il ko contro le zebre toscane, l'orizzonte biancorosso resta plumbeo, in campo e fuori: la squadra non supera il terzultimo posto da quasi un anno e mezzo, ormai, e appellarsi all'ambiente ostile (vedi le diatribe con la stampa locale) piuttosto che alla sfortuna o alla programmazione necessaria di tempi lunghi lascia il tempo che trova. La sensazione è che il pesce puzzi dalla testa: i calciatori hanno le loro colpe, ma senza una buona selezione iniziale, è difficile ottenere buoni frutti. E in assenza delle doverose e attese parole del presidente Tatò, le spiegazioni e le reazioni vanno fornite e formulate dal duo Martino-Orlandi, tanto osannato dopo la salvezza di giugno quanto nel mirino oggi. Ieri, al fischio finale, il dg biancorosso è stato subissato di fischi mentre percorreva da solo la porzione di rettangolo verde che conduce dalle tribune agli spogliatoi: quasi una metafora del momento, in cui la barca costruita con il presidente manca di uno dei due timonieri, e chissà se li rivedrà mai entrambi insieme alla guida. Se Martino crolla negli indici di gradimento, più saldo si vede Orlandi in vista della trasferta di Benevento, in programma domenica prossima. "Lavoro tranquillamente, dove intendo essere sereno del mio lavoro: a 60 anni non sono nè alla ricerca di una possibilità di fare carriera- ha spiegato ieri- Le mie esperienze, la mia serietà e la mia competenza sono riconosciute. Il progetto è quello di valorizzare calciatori di proprietà, l'abbiamo sposato e portato avanti". Lentamente le ambizioni di nono posto scompaiono dalle parole, oltre che dal campo, e l'amarezza per quello che poteva essere e oggi non è il progetto biancorosso cresce. Buona domenica di riflessione, S.S. Barletta.
(Twitter: @GuerraLuca88)