Servono i partiti politici?

Servi di una lotta politica senza idee nè valori. Che cosa discende da tutto ciò?

domenica 19 febbraio 2012
A cura di Emanuele Porcelluzzi
Sì, sempre che i partiti non siano guidati da una concezione sbagliata del loro modo di essere e di operare. Ora i partiti sono strutture organizzate, apparati, collettori di un ceto politico e amministrativo, ben radicato nei luoghi del potere diffuso e del sottogoverno, costituito da enti locali e aziende di servizio, dagli ordini professionali, dai sistemi dell'informazione, dai consigli di amministrazione delle banche, dalle fondazioni, dalle imprese partecipate, dalle assicurazioni e, da qualche tempo, anche dalle grandi università. Di questo complesso mondo si tende a non parlarne, per cui rimane invisibile ai più.

Oggi, la lotta politica non concerne tanto idee, valori e progetti, piuttosto coinvolge i terreni sensibili dell'amministrazione e della governance. Tanto è vero che, nella realtà, il confronto tra le forze politiche verte sulla distribuzione capillare di poteri, dei posti, delle prerogative e dei privilegi, generando conflitti e una conseguente metamorfosi dei partiti, delle culture politiche e delle opzioni ideologiche. I partiti, complice il maggioritario, operano sul territorio come corporazioni di potentati locali e non assolvono più la funzione di organizzazione, di civilizzazione e di rappresentanza del dibattito politico, affidata loro dalla Costituzione. In tale contesto, la dinamica istituzionale è costituita dalla dialettica tra gli interessi rappresentati e tutelati, nella specie quelli forti, fatti valere da soggetti a loro volta dotati di influenza, di grandi capitali, e, per questo motivo, il Parlamento si è ridotto a un museo delle cere o a un distributore di prebende. Il processo di degenerazione corporativa della politica offre alla gente lo spettacolo della rissa politica mentre il dibattito pubblico non si svolge sui temi del modello sociale, del comando sulla produzione e delle alleanze internazionali, intorno ai quali vige ormai un collaudato accordo bipartisan. Il paradosso è che al bipolarismo corrisponde la convergenza della politica, il che è spiegato dalla continuità delle scelte assunte dai diversi governi su tematiche cruciali come le riforme istituzionali, la politica economica, quella estera e le relazioni industriali.

Che cosa discende da tutto ciò? L'insorgere dell'antipolitica viscerale e del populismo emozionale, che possono, però, essere annullati dal confronto politico, contenuto entro forme civili, e capace di mobilitare culture politiche diverse per la realizzazione di progetti, mirati alla tutela del bene comune.