I paradisi fiscali non sono in cielo ma in terra

Sono in realtà potenti organismi politici. Economie parallele che viaggiano in parallelo alla crisi globale

domenica 26 febbraio 2012
A cura di Emanuele Porcelluzzi
I paradisi fiscali conservano, a tutt'oggi, la metà delle riserve mondiali di denaro e sono organismi politici e sovrani, in cui i fondi ammassati di denaro accumulato dagli imprenditori, dalle banche, dagli istituti finanziari, lavorano all'interno dei processi di accumulo del capitale e del potere su scala globale. Queste economie parallele non sono nient'altro che le nostre economie, con cui avviene il finanziamento di organizzazioni e società mercè le quali è sempre più facile dominare gli Stati di diritto e gestire, al di fuori della legge, le politiche private.

Con lo sviluppo del capitale dei paradisi fiscali si effettua un trasferimento di sovranità dallo Stato di diritto alla Stato d'eccezione, che ha la forza di imporre, in modo decisivo, la propria volontà senza dover rispondere a una Costituzione o alla volontà popolare. Nello Stato di diritto, la governance ossia la gestione della vita pubblica si sostituisce alla democrazia e alla politica per assoggettarsi agli interessi del più forte. La sovranità è allora quell'altrove ovvero i paradisi fiscali che finiscono per abitare nello Stato di diritto, ed è quel dispositivo che determina il corso della storia attraverso la produzione di eventi extraterritoriali, come le crisi finanziarie, che incidono direttamente sul corpo vivo delle moltitudini. Esemplare, sotto questo profilo, la logica di sviluppo della crisi del debito sovrano europeo, caso perfetto di shock economico: la decisione di attaccare l'euro, presa, a New York nel febbraio del 2010, da un gruppo di fondi di investimento, rappresentanti del denaro presente nei paradisi fiscali.

I fondi di investimento a rischio, registrati nei paradisi fiscali, non sono soggetti al controllo di nessuno Stato e, dopo aver giocato un ruolo decisivo nella creazione della bolla dei mutui subprime, questi centri finanziari hanno scatenato la tempesta contro i debiti pubblici dei paesi periferici dell'Unione Europea, a cominciare dalla Grecia per finire alla Spagna, passando per l'Irlanda e il Portogallo, schivando, per ora, l'Italia. Si è innescata così una crisi economico-politica che, se da una parte ha assicurato alla finanza internazionale enormi profitti, realizzati sui differenziali dei tassi d'interesse sui Buoni del Tesoro dei paesi, bersaglio degli attacchi speculativi, dall'altro canto, ha costretto i governi degli stessi paesi a implementare misure di austerità draconiane per rispondere alle direttive della Commissione Ue e del Fmi. La questione deve essere posta su un terreno che va al di là della rappresentanza dello Stato-nazione, ponendosi quale obiettivo l'extra-territorialità del conflitto.