Da Barletta a Houston per fare ricerca: l'esperienza di Vincenzo Paolillo

L'intervista al ricercatore barlettano, emigrato nel lontano Texas

venerdì 29 settembre 2023
A cura di Ida Vinella
Di barlettani, si sa, è pieno il mondo. Sono tantissimi i concittadini sparsi qua e là in ogni continente sul pianeta. Ma nella lontana città di Houston, in Texas, USA, pare ne siano giunti solamente un paio, e uno di questi è Vincenzo Paolillo.

Con un lavoro da ricercatore come "Senior Radiochemist and Pharmacokinetic Scientist" al MD Anderson Cancer Center di Houston, il dottor Vincenzo Paolillo si occupa di ricerca scientifica nell'ambito degli studi clinici e pre-clinici in un team che lavora nella produzione di radiofarmaci per combattere i tumori. Dopo il dottorato di ricerca all'Università di Bari, ha portato a compimento la sua carriera volando fino a Houston, dove vive dal 2010.

Abbiamo ascoltato la sua esperienza che vi proponiamo in occasione nella Notte europea dei Ricercatori, che ricorre oggi 29 settembre in tutta Europa coinvolgendo migliaia di ricercatori e istituzioni di ricerca in tutti i paesi europei.

La ricerca scientifica è uno di quei temi frequentemente ripresi in dibattiti e approfondimenti, e ancora più al centro della scena in giornate come quella di oggi. Ma a livello pratico, cosa vuoi dire fare il ricercatore? Com'è strutturata la tua tipica giornata lavorativa?
«Dipende molto dal tipo di ricerca. Nel mio caso, lavorando con sostanze radioattive, la mia ricerca si svolge interamente in un laboratorio di radiochimica, un luogo attrezzato e sicuro per questo tipo di attività. Inoltre, poiché i radiofarmaci che produciamo hanno una vita di poche ore, devono essere prodotti al mattino presto, per garantirne un uso efficace. In mancanza di produzione di radiofarmaci, la mia giornata tipo inizia con arrivo in ufficio alle 7, mezz'ora circa per leggere e rispondere ad email, poi si comincia il lavoro in laboratorio, che dura almeno fino alle 4 del pomeriggio.

Più spesso che no, se il radiofarmaco è richiesto al mattino, è necessario recarsi in laboratorio molto prima, anche alle 4 del mattino.

In realtà la vita di ricercatore da laboratorio si divide fra laboratorio, appunto, e scrivania: comunicazioni con colleghi e aziende, budget, lettura e scrittura di articoli scientifici sono alcune delle attività che caratterizzano tutte le giornate. Ogni giorno è un'avventura diversa».

Da Barletta agli USA, dove hai stabilizzato il tuo lavoro e anche la tua famiglia. Ti senti un "cervello in fuga"? Cosa pensi di questa tematica?
«Personalmente non mi sono mai sentito un cervello in fuga. L'opportunità di lavorare negli USA si è presentata organicamente e l'ho colta. Ho una visione olistica della scienza, che non può essere confinata ad un istituto o un paese. La ricerca scientifica è un'impresa di natura planetaria, i cui benefici hanno ripercussione su tutta l'umanità. Anche la formazione di nuovi ricercatori è una responsabilità che trascende i confini, è un investimento per tutti gli esseri umani.

Non ignoro che per molti ricercatori italiani emigrare è una necessità e preferirebbero condurre il lavoro nel proprio paese di origine. Ma ad un giovane studente italiano che mi chieda informazioni su come diventare un ricercatore, il mio primo suggerimento è quello di rafforzare il proprio inglese e prepararsi ad espandere le aspettative oltre i confini nazionali. Emigrare, in questo caso specifico, non è necessariamente sinonimo di crisi, ma piuttosto un'opportunità».

Nell'immaginario collettivo il Texas è abbastanza stereotipato, a causa soprattutto del cinema. Com'è davvero la vita lì? Quali sono le differenze (o le somiglianze) tra Houston e Barletta?
«Ammetto che anche la mia visione del Texas era influenzata da stereotipi che si sono rivelati per lo più falsi. Lo stato del Texas è molto grande, di conseguenza la geografia e il clima cambiano da est (umidità e ricca vegetazione) ad ovest (secco e desertico).

Houston è situata ad est, a circa un'ora d'auto dal Golfo del Messico. Il clima è molto umido e le estati sono molto calde e lunghe (praticamente da maggio ad ottobre). Gli inverni sono miti.

Houston, urbanisticamente parlando, è quanto ci possa essere di più differente dalla tipica città Europea. Città americane relativamente nuove come Houston sono state costruite più per le auto che per le persone. Anche la rete dei mezzi pubblici non è così diffusa e popolare come in Europa. Questa situazione influenza molto i rapporti e la vita sociale.

Dal punto di vista sociale Houston è incredibilmente internazionale, qui nessuno si sente straniero. Uno studio della Rice University di qualche anno fa ha definito Houston la città più "diverse" degli USA, dove per diverse si intende la varietà di gruppi etnici e linguaggi parlati. Ciò che rende Houston un magnete per l'immigrazione è la prossimità al confine con il Messico, oltre che una forte struttura industriale (settore ospedaliero e ricerca medica, settore petrolifero e minerario, ricerca aerospaziale) che attrae lavoratori da tutto il globo. Houston è quasi un pianeta in miniatura, dove puoi avere interazioni con persone da tutto il mondo e scambiare esperienze completamente differenti. Qui ho imparato ad amare, tra le altre cose, il cibo messicano e indiano, e non mi vergogno ad ammettere che una colazione a base di tacos è deliziosa».

Ai giovani che vogliono intraprendere una carriera in campo scientifico, medico e magari proprio nel campo della ricerca, che consiglio ti senti di dare?
«Ritengo che per intraprendere la vita da ricercatore, occorrano due cose essenziali: la passione, ovviamente, e l'umiltà. La passione è ciò che porta a scegliere un percorso di studi possibilmente ostico, ma con l'auspicio di una carriera entusiasmante. La passione ti aiuta a superare i momenti duri (l'esame di chimica organica, o l'esperimento che davvero non si sblocca). La passione ti spinge ad andare oltre la propria "comfort zone" e aprirsi a nuove sfide, come imparare una nuova disciplina, una nuova lingua, apprendere una nuova skill o presentare il proprio lavoro al cospetto di centinaia di colleghi da tutto il mondo.

L'umiltà, il sapere di non sapere, è il costante ricordo che siamo tutti un po' ignoranti in qualche ambito. Ogni giorno c'è un'opportunità per imparare, se solo abbiamo l'umiltà per osservare e ascoltare. Ho la fortuna di interagire spesso con ricercatori o anche studenti più giovani o con meno esperienza, e capita spesso di imparare da loro qualcosa di nuovo che mi arricchisce come professionista».