Ragazza in lacrime
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Stupro di gruppo a Palermo, ne parliamo con il centro antiviolenza di Barletta

Perché quei ragazzi avrebbero potuto essere anche i nostri figli? Un’analisi sulla comunità violenta, sull’educazione e la prevenzione

Iniziamo questo articolo con una frase volontariamente provocatoria: "I ragazzi dello stupro di Palermo potevano essere i nostri figli". Il rischio che una situazione simile possa capitare anche nella nostra città (o che forse già avvenga, in termini meno gravi) è molto alto.

Ed è per questo che, anche per sensibilizzare in merito all'argomento e alle tematiche ad esse connesse, abbiamo intervistato Laura Pasquino, Vicepresidente dell'Osservatorio Giulia e Rossella di Barletta. Un centro antiviolenza attivo sul territorio esistente da ormai 29 anni, che si occupa di operare con forza sul territorio per prevenire i casi di violenza e sostenere le vittime.

"Le regole per contrastare il fenomeno ci sono e sono riconosciute dalla Convenzione di Istanbul, che le ha stilate e diffuse. Il problema è il modo in cui vengono fatte rispettare, da uno Stato che è fortemente impregnato della cultura patriarcale".

Giovani ed educazione, le distorsioni della nostra società

"L'educazione nelle scuole è uno degli articoli della Convenzione di Istanbul, che ha cambiato proprio l'approccio anche a tutto l'assetto normativo del nostro Paese. Se noi oggi abbiamo tante leggi che in teoria sono più a tutela delle vittime di codice rosso, le abbiamo intanto perché l'Italia è stata più volte condannata dalla Corte Europea. Ma ce l'abbiamo grazie alla Convenzione di Istanbul, che dice che l'educazione ha un modo di vedere i ruoli non stereotipato è un obbligo. Quindi la legge c'è, perché la convenzione di Istanbul è legge attuale nello Stato italiano, il punto è applicarla".

I sette ragazzi della vicenda del Foro Italico sono ragazzi tra i 17 e i 21 anni, come tanti altri che affollano quotidianamente le vie di ogni città: dalle metropoli ai piccoli paesini. E sono, in particolare, figli della cultura che li ha generati e che li sta crescendo. E che insegna che il raggiungimento della virilità, la performance, il predominio sia il principale obiettivo a cui tendere. Con ogni mezzo. E protetti da ogni giustificazione.

"La mamma di uno degli stupratori ha detto che quella ragazza è "una poco di buono": quel ragazzo è frutto di una famiglia che lo ha educato con questo principio. E quella famiglia che il modello educativo ti può dare? Nessuno. È fondamentale partire dalla scuola primaria, dove non si parla di violenza, ma esattamente del contrario: di amore, di rispetto, di prendersi cura di sé e degli altri. E va fatto nelle scuole proprio perché ci sono famiglie che, a loro volta, sono state cresciute e educate con un modello di patriarcato che è talmente metabolizzato che tu per interromperlo devi puntare ai loro figli. E devi agire sul contesto scolastico, a qualsiasi livello, specialmente nella scuola obbligatoria".

"Molto spesso le famiglie quando sentono dire "educazione sessuale" si spaventano, perché suona brutto. Non si può parlare di educazione sessuale e quindi noi facciamo dei progetti di "educazione all'affettività". Ma non tutte le scuole li accettano perché non tutte le famiglie li accettano. Perché in qualche modo si pensa che tu voglia educare o istigare i ragazzi a fare sesso. Invece, l'educazione sessuale è altro. È educazione al rispetto, all'assoluta simmetria tra generi".

Denunce e paura, cosa accade oggi a Barletta

Tanti, tantissimi sono gli episodi che, anche con assenza di malizia, anche senza volontà di fare del male, acuiscono e alimentano questo modo di pensare ed agire. Arrivare al fatto, alla violenza fisica, dalla notizia è solo la punta di un iceberg che, nella parte sommersa, viene alimentata giornalmente da violenze di diverso genere.

"Questi episodi succedono già a Barletta! Succedono ovunque e se noi esistiamo da tutti questi anni e se il numero delle vittime, da un punto di vista di vita anagrafica, si sta abbassando. Ti parlo di richieste di aiuto, di richieste di aiuto che a noi vengono anche da ragazze giovanissime e dalle loro famiglie. È un segnale che, quando tu insisti sul territorio, sei presente, la cultura cambia".

"È molto importante denunciare. E quando parlo di denuncia, nonostante io sia un'avvocata, non intendo necessariamente alle autorità, perché anche la vittima è libera di scegliere se denunciare o no. Per denuncia io intendo la richiesta di aiuto in luoghi specializzati come questo. Noi abbiamo tantissime giovani ragazze accompagnate dai propri genitori che ci chiedono un percorso di rielaborazione della violenza che hanno subito, anche senza volerla denunciare".

Perché le denunce in Italia sono ancora così numericamente esigue?
"Perché quello stupro è il frutto di una comunità violenta, che è violenta nelle parole, se ne è cercata, che cosa ha fatto per evitarlo, è già insito in quel pregiudizio che le donne, le giovani donne hanno di base e che spesso investe proprio le altre donne, cioè la solidarietà femminile. Perché? Perché anche le donne sono cresciute in una cultura del patriarcato, che hanno fatto propria. Quella mamma è una mamma che è nata, cresciuta assorbendo la cultura patriarcale. Per cui se una donna è vittima di violenza, in qualche modo quella violenza la provoca".

Lei pensa che comunque sulle famiglie si possa operare in qualche modo per cambiare, per prevenire?
"Sì, se c'è però la disponibilità a mettersi in discussione. Noi stiamo facendo dei progetti molto belli e quando andiamo nelle scuole, soprattutto nella scuola primaria, noi chiediamo di incontrare le famiglie. Noi facciamo un incontro preventivo con le famiglie e un incontro di restituzione di quello che abbiamo raccolto dai loro figli, proprio per dare loro degli strumenti su cui lavorare, per mettersi in discussione, perché è un percorso lungo. La violenza è sempre esistita, ma questa non deve essere una giustificazione, deve essere un'urgenza, fare qualcosa per poterla cambiare. Le famiglie sono fondamentali, ma se la famiglia non si mette in discussione, tu devi necessariamente trovare degli altri canali, devi lavorare sul gruppo dei pari.

"Perché in quel gruppo, tra quei sette ragazzi, nessuno ha detto fermiamoci, che cosa stiamo facendo. Sarebbe bastato uno che avesse detto basta. Quindi se invece quel gruppo di pari avesse avuto un soggetto formato e stimolato a ragionevole dubbio, forse quello stupro di gruppo si sarebbe fermato".
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